Doverosa premessa: non ho mai creduto nei ranking. Li considero un gioco divertente e “democratico”, perché tutti gli appassionati possono cimentarvisi senza tema di smentite, almeno finché il campo non decreterà i suoi verdetti. Troppe le variabili in gioco, però, nel determinare il rendimento stagionale di una franchigia, per poter stilare classifiche di merito solo alla luce del roster messo in piedi durante la offseason… Il giochino, inoltre, è pesantemente inflazionato dai siti specializzati, soprattutto quelli d’oltreoceano, sui quali fioccano i ranking più bizzarri, ma talmente bizzarri da giustificare il sospetto che, più che ad un’utile analisi tecnica, siano finalizzati ad “indovinare” la rivelazione della prossima stagione, col solo scopo di appenderla sul petto come una medaglia di cui fregiarsi per conquistare lettori. Non un serio opinionismo, dunque.
All-Around proverà, invece, a cimentarsi nella succinta analisi del senso dei principali movimenti compiuti da ogni squadra sul mercato delle free agency (FA) e della loro utilità per migliorarne il rendimento rispetto alla stagione passata.
Si parte con la Eastern Conference, in crescita tecnica esponenziale rispetto agli anni addietro e forse meno rumorosa, ma non meno rivoluzionata, come vedremo, rispetto alla Western. Proviamo ad ordinare le 15 protagoniste in base al progresso a nostro parere compiuto, ma cominciando, come si conviene, con i detentori, fuori classifica e tuttora, a nostro avviso, irraggiungibili.
I campioni:
Cleveland Cavaliers. Via Mozgov, Kaun e, soprattutto, Dellavedova. Dentro “birdman” Andersen e Mike Dunleavy. Cambia e non poco l’assetto della panchina: Dunleavy è un lusso, ma perde tanto alle spalle di Tristan Thompson e Kyrie Irving! Dove, dopo aver rincorso, pare, Mario Chalmers (e avrebbe avuto un senso), si sono accontentati di rifirmare con un annuale il buon Mo Williams… Non un gran mercato, dunque (peraltro, ad oggi, JR Smith è ancora in trattativa aperta…), ma si tratta pur sempre di un roster devastante e rodato, con le carte in regola per ripetersi. E, date retta, il mercato dei campioni potrebbe non essere ancora chiuso…
Le “migliorate”:
Boston Celtics. Perdono Turner e Sullinger (forse i meno “integrati” nel regime di Stevens), ma piazzano il vero colpo della Eastern colmando la propria principale lacuna con uno dei più funzionali centri della Lega: Al Horford! Un bel balzo in avanti, dunque, almeno sulla carta, lungo il percorso di crescita e di riavvicinamento verso le vette NBA. Già una contender? Forse è presto per dirlo, ma la possibilità di accedere alla lottery (grazie alle scelte dei Nets), la giovane età complessiva ed il sistema più che rodato fanno sì che il tempo giochi in …biancoverde! E se fosse arrivato KD…
Indiana Pacers. Il neopromosso Nate Mc Millan ha di che sorridere: intorno alla stella rediviva Paul George gli è stato costruito un roster di sicuro spessore, benché, forse, ancora non da titolo. Via i tre colli (non ho saputo resistere… pardon: George, Solomon e Jordan Hill), ma dentro Jeff Teague, Taddeus Young e “Big Al” Jefferson! Un clamoroso e indiscutibile upgrade che, a mio avviso, candida i Pacers al titolo di squadra più migliorata. Certo, come in tutti i grandi rinnovamenti, le incognite non mancano e la crescita del potenziale offensivo della frontline meriterà importanti aggiustamenti strategici e tattici da parte del neo-head coach, ma il lascito di Vogel pare pronto a dare immediati e succosi frutti!
Orlando Magic. …ovvero Vogel, appunto: inizia l’era del nuovo coach, e lo fa con una “rivoluzione” (vedremo che non sarà l’unica sotto il cielo della Florida) mica da niente! Via i neo-arrivati Jennings ed Ilyasova, via Harris, via, soprattutto, in una della trade più calde dell’estate, la rising star Victor Oladipo! Dentro Jodie Meeks, e nientemeno che Jeff Green (per me e forse solo per me, uno degli esterni più sottovalutati della Lega) ed i feroci mastini del pitturato Bismark Biyombo e Serge Ibaka! Tutto giusto: per giocatori di transito o (Oladipo) ottimi players ma probabilmente non destinati ad assurgere al ruolo di uomini-franchigia, arriva gente tosta, ben assortita, apparentemente idonea al credo cestistico di mr. Vogel, in grado di far fare da subito un sostanzioso salto di qualità alla franchigia. Il tutto, ancora giustamente, intorno al punto fermo Payton (che dovrà, però, crescere parecchio ed in fretta!). Orlando si candida prepotentemente a tornare alla ribalta sulla scena sempre più affollata dell’Est…
New York Knicks. Dopo stagioni da “vicolo cieco”, in cui, peraltro, molto aveva contribuito a cacciarsi lui stesso, il “guru” Phil Jackson doveva per forza di cose ricostruire. Posta la prima pietra lo scorso anno, con la fortunatissima pesca al draft, ora la pazienza (già tradizionalmente corta a New York) è finita: nella città che mai dorme non può certo programmarsi un rebuilding Phila-style! Ecco, allora, l’infornata di veterani di smisurato talento: l’asse Rose-Noah strappato a windy-city e trapiantato nella Grande Mela nella speranza di un reciproco effetto rigenerante; ecco Courtney Lee e Brendon Jennings (già promosso da coach Zen a sesto uomo dell’anno…). Potenziale smisurato, ma le scommesse anche, a partire dai tanti acciacchi e dall’evidente declino di buona parte dei neo-arrivati, all’ultima chiamata, o quasi, per cercare di vincere qualcosa di più di un titolo MVP o di una classifica cannonieri…
Le incognite:
Chicago Bulls. Un radioso futuro…alle spalle? Anche windy city saluta il suo uomo-simbolo, ma ormai lo rimpiangono più gli addetti al merchandising che i tifosi: il vero Derrick Rose era da tempo un bel ricordo, così come Noah, martoriati dagli infortuni. Via anche Dunleavy e Gasol, inizia la ricostruzione, com’è logico che sia, intorno a Jimmy Butler…oppure no? Nel giro di poche ore Chicago ha accolto tra le sue braccia il figliol prodigo Wade e Rajon Rondo (e con loro Robin Lopez), ovvero due tra i fuoriclasse più anziani, accentratori e (specie il secondo) bisbetici in circolazione! In due parole, ad Hoiberg viene consegnata una squadra dal potenziale dirompente, ma dalla chimica davvero improbabile (se la trova si gioca il titolo, ma se non la trova, nella migliore delle ipotesi è un anno perso, altrimenti si gioca il posto) e dal respiro molto corto. Ora o mai più, insomma: un giochino davvero pericoloso, quello scelto nella città del vento…
Milwaukee Bucks. Ovvero quella che doveva essere la mia personale rivelazione stagionale: confidando nella sicura crescita del greco volante, nel rendimento che non potrà non essere migliorabile di Monroe sotto le plance (ancora non ci credo che parta dalla panchina!), nell’esplosione di Jabari Parker, giudicavo gli innesti, solo apparentemente secondari, di Mirza Teletovic (per variare i gochi ed allargare il campo) e di Matthew Dellavedova (per colmare il decisivo deficit di playmaking) come tra i più efficienti per rapporto costo/beneficio ed ero pronto a scommettere sulle renne…Ecco, invece, la recente notizia della lesione tendinea di Middleton, che terrà fuori n mesi il bomber designato! In questo modo sarà davvero dura per i ragazzi di Jason Kidd e la tentazione del tanking, qualora la stagione dovesse prendere un piega sfavorevole, potrebbe fare capolino in quel di Milwaukee…
Le “immobili”:
Detroit Pistons, Washington Wizards e (udite udite!) Toronto Raptors! Già, può apparire irriguardoso nei confronti dei finalisti di Conference essere inseriti nel calderone, ma la logica della offseason delle tre franchigie pare la medesima: tantissime conferme e solo movimenti minori, con capatina al draft, puntando tutto sulla qualità del gioco, sul vantaggio dell’amalgama e sulla definitiva esplosione delle rispettive star. E, poiché gioventù e talento non mancano, non è detto che la strategia non si riveli vincente…
I “Work-in-Progress”:
Miami Heat. Se ad Orlando inizia l’era Vogel, è la fine di ben altra era a rendere memorabile l’estate 2016 in Florida: Pat Riley rilascia Dwane Wade, l’uomo-franchigia, il simbolo, l’unico in grado di restarlo sopravvivendo al passaggio di sua maestà LeBron James! Il futuro degli Heat ha un nome: è Hassan Whiteside, sul cui rinnovo (per età e potenziale: giustamente!) si è puntato forte! Sull’asse con Dragic si gettano le fondamenta di un futuro che passa anche dalla faraonica conferma di Tyler Johnson (pareggiata l’offertona dei Nets, ora avrà tanto da dimostrare…). Via anche Joe Johnson e Luol Deng, dentro Babbitt e Derrick Williams, per provare a dimenticare il povero Chris Bosh, ancora alle prese con seri problemi di salute e giudicato non idoneo all’attività agonistica! La logica direbbe tanking, ma il talento non manca, il quintetto è valido…il futuro potrebbe anche iniziare adesso…
Brooklyn Nets. Anche qui inizia una nuova era: finita l’epoca dei sogni di gloria, del “tutto e subito”, inizia l’era Marks-Atkinson! Nuova cultura sportiva, nuova credibilità (si spera), etica del lavoro ed identità. Nessuna chance di playoff, nessun utilità nel tanking, l’unica strada possibile quella del rischio. Del rischio grosso. Il nuovo GM si rivela un pokerista niente male, sguardo freddo e zero paura: subito via uno dei pilastri (Taddeus Young) per aggredire il primo giro al draft (e la pesca promette bene), poche certezze, vecchie (la stella, forse la più sottovalutata della Lega, Brook Lopez, l’ormai eterno “in rampa di lancio” Bojan Bogdanovic, di rincorsa da un’Olimpiade strepitosa) e nuove (un pretoriano del nuovo coach, Jeremy Lin, per colmare il vuoto più macroscopico della scorsa stagione, la PG), poi la stoccata: le superofferte per Tyler Johnson ed Allen Crabbe, entrambe soffertamente pareggiate da Miami e Portland… Fosse andata a buon fine almeno una delle due, la strada del futuro poteva dirsi tracciata, ma deve, invece,scattare il piano B: infornata di veterani dall’alto QI cestistico e praticamente al minimo (Scola, Foye, Vasquez) e di gente alla ricerca del riscatto e del proprio ruolo in NBA (Bennet, ormai all’ultima occasione, e recentissimamente Chase Budinger). La logica non è diversa da quella adottata lo scorso anno dall’ultimo Billy King, ma lo spirito si: pare tutto ruotare intorno allo sviluppo dei rookies e dei sophomore, tutti con l’aria di voler esplodere da un momento all’altro! Ne viene fuori un roster ancora pesantemente sottodotato tecnicamente, ma decisamente profondo, intrigante, giovane, atletico, versatile, tagliato su misura di un coach tutto votato al lavoro. E, se la situazione programmatica pare ancora infelice, paradossalmente la mancanza di pressione e di aspettative potrebbe rivelarsi un humus ideale per il lancio di Hollis Jefferson e compagnia…
Philadelphia 76ers. Ancora draft e tanta Europa per la più lunga ricostruzione della storia del basket, ma la lunga notte di Hinkie sembra volgere al termine, finalmente si intravede una parvenza di squadra! Rodriguez è maturato moltissimo, Saric pare già pronto, Simmons (concedetemi un nome-uno-dal draft, per la prima scelta!) anche… Certo, non è Minnesota. Certo, mancano le star (per ora). Certo, è un roster acerbo e ancora pesantemente a trazione anteriore (benché sia arrivato a dare man forte anche Bayless), ma almeno Brett Brown ha in mano argilla di prima qualità per provare a plasmare qualcosa. E stavolta non partiranno sempre battuti. Il futuro pare ancora ben di là da venire, ma…
À rebours:
Atlanta Hawks. Piò sembrare una bestemmia (e forse lo è) collocare tra le “non migliorate” la franchigia capace si assicurarsi i servigi di Superman, ma fatico a credere che Dwight Howard, supereroe in declino ed acciaccatello, possa rendere quanto il predecessore Al Horford (e l’acor più malmesso Jarrett Jack quanto l’ex metronomo Jeff Teague!). S’intende: Shroeder merita la chance della definitiva consacrazione e il resto della squadra, è lì, temibilissimo e rodato, ma l’ex coac of the year Budenholzer dovrà faticare per trovare la nuova quadratura intorno alla ingombrante all-star. Mentre gli anni passano anche per Millsap & co….
Charlotte Hornets. Dopo aver ugurato le migliori fortune alla franchigia di MJ, la domanda sorge spontanea: qual è il piano? Saluta Lin, che bene aveva figurato come sesto uomo, partono il leader (neanche tanto) silenzioso Big Al e Courtney Lee….Kemba Walker e soci abbracciano il nostro Marco Belinelli (ormai affermato role-player) ed il crepuscolare Roy Hibbert, con tanti punti interrogativi sulla capacità dei neo-arrivati di compensare le perdite!
In una Eastern Conference rivoluzionaria e sempre più combattiva, difficilmente ci sarà pietà per chi resta indietro….
Scritto da Marco Calvarese
Editato da Francesco Bertoni