Roma, 25 maggio 2016 – Sono passati 5 giorni da quel fatidico Venerdì 21 maggio 2016, una data che verrà ricordata nella storia della Virtus Roma perché la W di Castelletto Ticino in Gara 3 dei Playout di A2 2015-16 contro una disastrata e semi-distrutta fisicamente Paffoni Fulgor Omegna ha confermato la permanenza nella seconda, massima divisione nazionale della pallacanestro nazionale.
Allegria quindi? Sicuramente, da tutto l’ambiente vicino all’Urbe venerdì 21 maggio alle 23:00 circa è stato tirato un profondo sospiro di sollievo anche se…Beh, sì, ci sarebbe poco da festeggiare ed esaltarsi in verità, il tifoso della Virtus è in media ancora abbastanza sconcertato ed adirato per quanto accaduto l’anno scorso con l’incredibile autoretrocessione imposta e voluta dal Presidente Claudio Toti . Il tifoso virtussino ha ancora il dente avvelenato in quanto probabilmente ritiene ancor oggi questa salvezza, seppur conquistata con pieno merito sul campo, un qualcosa di molto vicino ad un “minimo sindacale” per una squadra che l’anno scorso di questi tempi in marzo sfiorava ad esempio i quarti di finale di Eurocup se non anche l’accesso ai Playoff scudetto, reduce negli ultimi due anni da finale e semifinale scudetto nel 2013 e nel 2014.

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In effetti, come può dimenticare che la Virtus Roma sia arrivata a questo spareggio dopo le ben 8, incredibili sconfitte di misura in stagione regolare nei finali di gara? E come può dimenticare l’essere stata battuta da un’onestissima e nulla più Recanati nel primo round dei Playout 2016, una Recanati passatale sopra con irrisoria facilità in quel di Porto S.Giorgio senza mai forzare più tanto i propri ritmi ed il proprio gioco, seppellendola con ben 70 tiri da tre nelle 3 sconfitte e quasi senza opporre una logica e strutturata resistenza in risposta a questa chiave di gioco proposta da Giancarlo Sacco? E vedere, ad esempio, oggi addirittura in semifinale Playoff di A2 una Givova Scafati apparsa al suo cospetto ben poca cosa sia al Pala Mangano che al Pala Tiziano?
Difficile dunque tracciare un bilancio netto su questa stagione della Virtus Roma, che possa essere di piena soddisfazione oppure di fallimento totale. Le stra-citate “sfumature di grigio” vengono in soccorso in questo caso perché è stato comunque difficile, ad esempio, aver ottenuto una permanenza in A2 viste le premesse di cui sopra (la sensazione netta ad un certo punto è che la squadra non ne avesse più…), ed il per-come l’Urbe fosse caduta in questo incubo chiamato potenziale Serie B sul campo. Aver mantenuto la categoria è dunque pur sempre un risultato positivo.
Osservandola da chi vuol vedere il bicchiere mezzo pieno, la risposta dello staff tecnico allo Tsunami-Caja durante il girone di ritorno e soprattutto in piena sfida Playout vs Recanati (“Me ne vado” – “No, ritorno!”), è stato eccellente. In uno sport così condizionato dal fattore psicologico l’azione ed il lavoro di Riccardo Esposito, novello Caronte ma dalla parte giusta delle riva, è stato soddisfacente: tutto il roster ha reagito ed è stato pronto a dare il massimo, soprattutto nel fare gruppo per il bene comune, tralasciando i malesseri ed i malumori pregressi.

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Ma l’ignavia non ci appartiene, pertanto cercando di non smarrire il buon senso assieme al buon gusto, diciamo allora che quest’annata della Virtus Roma sia da dimenticare il più in fretta possibile, se non quasi da cancellare per come è nata e per come sia proseguita, ovviamente meno per il finale alla “Happy Ending” dove il pentimento ed il riscatto si sposa con il buon cinema americano degli anni ’50-’60.
Da dimenticare dicevamo, innanzitutto per come sia stata fatta la scelta della doppia, prima conduzione tecnica nell’ordine di Guido Saibene in prima battuta e dopo di Attilio Caja: la prima, impalmando un bravo tecnico ma ormai fuori dai giochi “mentali” adatti alla gestione di un roster assemblato in fretta&furia per un campionato sconosciuto o quasi a lui stesso ed alla platea; la seconda, usando più la pancia che la testa, chiamando alle armi un coach come Attilio Caja apparso giorno dopo giorno (in maniera netta dal girone di ritorno in poi), in netta discontinuità con quanto gli era stato chiesto dalla dirigenza, e cioè riportare in alto la squadra dopo la disastrosa gestione Saibene ma soprattutto anche provare a lavorare per il futuro prossimo provando a far decollare anche i vari Benetti, Leonzio e perché no, Bonfiglio e Casagrande.
Inutile rimarcare le carenze soprattutto tecniche di conduzione da parte del coach pavese in stagione, incapace anche a tratti di leggere correttamente alcune gare rivelatesi poi decisive nell’arco della stagione per evitare le forche caudine dei Playout. Clamoroso ad esempio il doppio KO contro Latina in campionato, due gare nelle quali il suo dirimpettaio Franco Gramenzi gli ha impartito una dura lezione di conduzione tecnico-tattico soprattutto nella decisiva sfida del girone di ritorno al PalaBianchini, impostata dal coach pontino in maniera diametralmente opposta a quanto fatto vedere dal Latina Basket sino a quel dì, in parole povere un vero clinic di “Manuale su come avere il meglio da parte del materiale tecnico messo a disposizione da parte di una dirigenza ad un allenatore”.
Anche la Dirigenza non è stata esente di colpe, certo, ma almeno le va dato atto di aver cercato in tutti i modi di riportare la gente sfiduciata al Pala Tiziano, provando quantomeno a generare calore ed entusiasmo attorno ad una squadra che lentamente stava scivolando in un senso d’insopportabile sfiducia nei propri mezzi. La tifoseria, nella maggior parte quella stessa gente che solo nel 2013 sognava ad occhi aperti un tricolore sul petto al Pala Tiziano, ha risposto presente in modo soddisfacente e questo è un punto a favore per Carotti & Co.

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Ma altre sfide attendono adesso il sodalizio capitolino al termine di questa travagliatissima stagione. La prima è quella di continuare, anzi, d’intensificare il legame con il proprio pubblico senza disperdere, come troppe volte accaduto in passato, la voglia di pallacanestro da vivere attorno ai colori della Virtus.
La seconda è quella di mettere in campo il prossimo anno, e questa volta di tempo sembra essercene a iosa, un roster che possa evitare nuovi attentati alle coronarie dei propri tifosi magari prendendo in pianta stabile Simone Gioffrè come GM e non part-time come in quest’annata. Puntare all’A1? Perché no a patto però che lo di dichiari prima, ok Presidente Toti? Oppure dichiarare esattamente cosa si desidera raggiungere in aprile 2017.
La terza è quella di lavorare per un sano processo di buon vicinato con realtà come l’Eurobasket Roma G&P, alleata ieri ed avversaria, perché no, potenziale sul campo anche domani. L’ambiente della già tanto divisa pallacanestro romana non sente proprio la necessità di nuove “spaccature” come tra guelfi o ghibellini anzi, perciò la Virtus Roma deve trovare un modo intelligente di coesistere se non addirittura di aiutarsi vicendevolmente con il sodalizio di Armando Buonamici rifiutando stupide e becere logiche calcistiche approntate addirittura all’odio se non a volte anche alla sopraffazione fisica reciproca.
La carenze di strutture sportive capienti ed omologate in città che possano dare spazio ad entrambe le squadre con le rispettive sedi in cui anche disputare il proprio campionato porrà diversi punti interrogativi sull’utilizzo del “povero” ed unico Pala Tiziano per entrambe, speriamo prevalga il buon senso e la logica di collaborare e non di battagliare.
Questa è la pallacanestro, un altro sport, l’auspicio è che quindi la dirigenza virtussina possa trovare una forma positiva e reciprocamente costruttiva di coesione con questa nuova entità che sta lavorando anch’essa per portare in alto il nome di Roma ma, evitando fraintendimenti possibili, nel pieno rispetto della rispettive ambizioni, storie e traguardi raggiungibili nel medio e lungo termine. Un derby di basket a Roma non lo si vede e non lo si vive da quasi un quarantennio, auspichiamo che ci possa essere prima di tutto e che possa essere solo un derby di passione, tifo e gioia sportiva, senza alcuna retorica cerchiobottista.
Fabrizio Noto/FRED