Un anno orribile, ma qualunque anno in realtà, come quello vissuto dall’Acea Virtus Roma, merita alla fine, un riepilogo, un riassunto dei fatti e dei protagonisti della stagione. In questo caso alla fine di ogni personalissimo giudizio sui singoli giocatori della Virtus, ho accostato il titolo di un film che rappresenti la sintesi del mio pensiero su ognuno di loro. Per sdrammatizzare. Anche perché per tutti quanti valgono i fattori Saibene e Caja, i due allenatori che in certi casi hanno tirato fuori il peggio da questi ragazzi, non il meglio.
Olasewere: una forza della natura quasi mai sotto controllo. I miglioramenti tecnici sono stati evidenti nel corso del campionato, ma certi atteggiamenti ed i troppi falli ingenui per non dire sciocchi commessi dal nigeriano, ne hanno limitato il potenziale in modo incredibile. Eppure qualche partita la Virtus l’ha vinta grazie a lui.
Zona d’ombra
Meini: il vero atleta del gruppo considerando età e chilometraggio del motore. Perfetto nella prima parte e sino a metà della stagione, molto a vuoto verso la fine quando Caja lo ha cotto al punto che nei Playout è stato irriconoscibile.
Salvate il soldato Ryan
Maresca: un mago, un jolly. La sua tecnica, la sua fantasia e la dedizione alla causa romana lo hanno sostenuto e ci hanno deliziato ben oltre quello che dice la sua carta d’identità e le migliaia di partite che anche lui ha giocato. Uno dei migliori senza dubbio.
Pulp Fiction
Callahan: ecco l’altro che per tutta la stagione non ha mai mollato, salvo qualche passaggio a vuoto più che comprensibile. Anche versatile quando è stato necessario giocare da sotto oltre che tirare da tre, il vero totem della squadra anche come modi di fare in campo.
Corvo Rosso non avrai il mio scalpo
Voskuil: un giocatore da sistema perfetto, inserito in una squadra che non ha mai avuto un sistema. La sua bravura come tiratore non è in discussione, quello che è discutibile è la sua utilità in una squadra come la Virtus di quest’anno, anche se senza di lui altro che Playout…
Il cavaliere oscuro
Bonfiglio: pochi centimetri ma tanta fierezza e tanta voglia di dimostrare che in questa categoria, la A2, lui può starci ed anche bene. Poco utilizzato all’inizio, quando è stato chiamato in causa ha fatto sempre il suo dovere ma non può essere decisivo.
Una vita al massimo
Benetti: sono stato uno di quelli che lo ha difeso per tanto tempo perché vedevo in lui un fisico strapotente ed atletico, adatto per giocare a pallacanestro come pochi. Ma l’atteggiamento e le distrazioni dimostrate sono state troppe anche per un giovane alla prima esperienza importante in A2.
Sotto il vestito niente
Casagrande: un altro con tanta voglia di lottare e di farsi notare, ma il più delle volte con molta confusione perché spesso la sensazione era che venisse messo in campo per disperazione e senza grandi indicazioni su cosa fare.
Fà la cosa giusta
Leonzio: poco, molto poco per quello che all’inizio è stato quasi considerato un eroe visto che i maltrattamenti subiti da Saibene hanno portato l’arrivo di Caja. Poi qualche buon spezzone di gara con dei buoni canestri da tre ed un lunghissimo inverno e primavera in panchina.
La cosa
Flamini: alla sua età, dopo un anno e mezzo d’inattività, ha dimostrato che pure in una situazione disagiata come quella della Virtus, l’esperienza applicata come si deve può dare frutti importanti. Nei Playout qualche suo tiro da tre è stato importantissimo e le sue giocate difensive altrettanto.
Zelig
Zambon: ingiudicabile se non per il tifo e la passione che ci ha messo per tutto l’anno ad incitare e sostenere i compagni.
Rocco e i suoi fratelli
Edoardo Lubrano
@EduardoLubrano