https://youtu.be/f_BmEWIpBG8
Finalmente l’agonia è finita! Quello che, nelle speranze dei tifosi, doveva essere l’anno 0, quello della ricostruzione propedeutica alla rinascita, si è rapidamente ed inesorabilmente trasformato in una stagione da incubo, da mandare agli archivi senza troppi rimpianti. Ma, si sa, il tifoso è così: sempre alla ricerca di un appiglio, di qualcosa di positivo da afferrare per darsi slancio e ripartire, per guardare al futuro con un minimo di ottimismo; allora occorre andare al di là della superficie, della ricerca del capro espiatorio e della facile denigrazione propria degli haters ma anche degli analisti medi, scandagliando il passato recente per approfondire i fatti e scovare le prospettive. Vediamo, allora, come i Nets abbiano incarnato appieno il vecchio adagio: occorre toccare il fondo per poter iniziare a risalire!
Partiamo dal principio.
Scendere sotto la soglia della luxury tax e rientrare nel salary cap, iniziare a ricostruire senza avere il controllo delle proprie scelte al draft, mettere insieme una squadra in grado di lottare da subito per vincere il più possibile. Voci veramente difficili da conciliare, trovandosi nella condizione di non poter ricorrere al famigerato tanking, tutte o quasi le scelte regalate ai rivali di Boston nell’affaire Garnett-Pierce… Billy King, vittima fino all’estate scorsa, della filosofia del “tutto e subito” impostagli dal suo datore di lavoro, si è ritrovato costretto a fare le nozze coi fichi secchi, obbligato ad impoverire di una delle sue stelle, per fare cassa, un roster che era appena riuscito ad agguantare la post-season all’ultimo respiro due mesi prima, a guardare il draft ed affrontare la free agency con pochi spiccioli a disposizione. Che fare? Eccolo, allora imboccare una strategia (non concordo, infatti, con i giudizi trancianti rilasciati in merito dalla stampa specializzata d’oltreoceano) che personalmente ho condiviso dal principio e che non rinnego neppure di fronte all’evidenza dei risultati: scala quante più posizioni possibile al draft per andare a pescare due autentiche scommesse, nella speranza di trasformarle nelle classiche steal, come Rondae Hollis-Jefferson e Cris McCollough (soprattutto il secondo, fermo per un grave infortunio al ginocchio già da quasi un anno!), dal talento unanimemente riconosciuto, per poi puntare tutto su giocatori giovani e/o atletici e/o in cerca di riscatto, firmandoli tutti al minimo e con contratti 1+1, in modo da moltiplicare il coefficiente di impegno. Negozia, quindi, il buyout di Deron Williams, compiendo una scelta tanto sconfortante dal punto di vista tecnico (il suo asse con Brook Lopez era stato il motore della rincorsa ai playoff 2015) quanto doverosa in termini economici e di spogliatoio, data l’evidente frattura tra il texano, voglioso di tornare a giocare dalle sue parti, ed il testo dei veterani. Rifirma, invece, con contratti pluriennali tanto onerosi quanto meritati (come confermato, poi, dai fatti) lo stesso Lopez ed il suo braccio destro Taddeus Young, facendone le pietre angolari del new deal. Ne viene fuori una squadra dallo starting five invariato per 4/5, con una coach stimato, confermato e coinvolto nelle scelte, un leader vocale come Jack ed uno tecnico-tattico come l’all-star Joe Johnson ed una panchina potenzialmente più profonda e varia rispetto alla precedente. Come si è arrivati, allora, a chiudere l’annata con un ingeneroso record di 21 vittorie, con una striscia di 10 sconfitte consecutive appena dopo le esaltanti vittorie contro King James e gli affamati Pacers di Paul George, decidendo di panchinare per il resto della stagione Lopez e Young e, praticamente, regalando una posizione altissima nella lottery a Boston? Risparmiamoci l’impietosa cronistoria delle disfatte stagionali e proviamo ad analizzare le lacune tecniche e decisionali che hanno così pesantemente condizionato il rendimento della squadra.
Il primo e più madornale errore di programmazione tecnica è stato, a mio parere, ritenere che Jarrett Jack potesse adattarsi al sistema-Hollins, tutto incentrato sul pick and roll. Non si tratta tanto, o soltanto, di una questione di talento (Jack non sfiora neppure quello di Deron, ma ha indiscutibilmente i numeri e la personalità per ben figurare nella Lega), bensì di attitudine: Jack è un leader naturale, ma è soprattutto una point guard cui piace costruirsi il tiro dal palleggio, il cui classico movimento consiste nel fintare la penetrazione e arrestare e tirare dalla media in leggero stepback, ben poco propenso ad attaccare il ferro! L’idea originaria, dunque, era quella di giocare il P&R alto o addirittura il pick and pop con Lopez (quest’estate Brook si era dedicato addirittura a sedute di allenamento sul tiro dall’arco!), lasciando Young a sfruttare dal post gli spazi lasciati dalla difesa ed a sportellare a rimbalzo. Progetto interessante ma, alla luce dei fatti, sterile e privo di alternative. L’infortunio che, a fine 2015, ha lasciato la stagione di Jarrett sul parquet dei Celtics (destino beffardo, ancora loro…), ha sancito la fine dei piani tecnici iniziali e, di fatto, delle speranze di invertire la rotta stagionale per gli sfortunati Nets, a stretto giro anche martoriati da medesima sorte occorsa all’ottimo Hollis Jefferson, già capace, specie nella propria metà campo, di avere impatto in NBA. Sfortuna riverberatasi anche nei risultati, con sconfitte evitabilissime susseguitesi in tante sfide dal finale punto a punto, specie nel mese di dicembre (memorabile quella patita dopo un supplementare all’Oracle Arena, partita sfuggita di mano a pochi secondi dalla sirena e che avrebbe potuto segnare una svolta psicologica per tutto l’ambiente…)! Dulcis in fundo, vorrei concentrare un breve pamphlet su quello che (e mi assumo tutta la responsabilità di ciò che scrivo) è stato il cuore e l’inaspettato amplificatore di tutti i guai: Lionel Hollins!
Il coach, visto dai più come un punto di forza ad inizio stagione, è stato, per sua stessa ammissione, compartecipe delle scelte fatte durante l’offseason, avendo in testa una strategia di gioco ben precisa…per poi perdersi fin da subito nella evidente inefficacia del suo progetto, scivolando sulla sua rigidità mentale e cadendo pesantemente sulla sua evidente insofferenza verso i suoi stessi giocatori (palesemente contraccambiata…) e, in generale, verso la situazione di rebuilding tecnico e societario. Ho stampato nel libro dei ricordi stagionali il gesto di fastidio e quasi di derisione di Hollins dopo un airball di un peraltro ottimo esordio di Bargnani contro i Bulls ala prima stagionale: potrebbe essere quella l’immagine dell’ultima versione di Hollins! Dicevamo del P&R alto Jack-Lopez… Young in post basso, Joe e Bogie (o Ellington) agli angoli: questo lo schieramento iniziale dei Nets. Movimento senza palla: zero. Il risultato? Le difese si concentravano sul proteggersi dal tiro dalla media, senza quasi mai dover ricorrere ad aiuti, così che ci si è ritrovati a forzare conclusioni a basse percentuali, con un novero di isolamenti, palle perse con annessi contropiedi o transizioni. A rimorchio, altri tre madornali limiti: rotazioni ingiustificatamente ridotte all’osso, come avesse dei pregiudizi verso alcuni dei suoi stessi uomini (Markel Brown, Sloan, lo stesso Mago, Robinson, per non dire del pessimo uso di Bogdanovic); assoluta mancanza di idee alternative quando, inevitabilmente, il gioco si faceva prevedibile e stagnante; il divieto pressoché assoluto di provare la conclusione dall’arco: imperdonabile, tanto più avendo a roster potenziali specialisti come Bogdanovic ed Ellington, ed altri non certo battezzabili come Johnson, gli stessi Jack, Larkin e Sloan! Il risultato? Le poche volte che la palla arrivava agli esterni, invece di aprire il campo, si metteva di nuovo palla a terra, perdendo preziosi secondi e favorendo il riposizionamento dei difensori, si andava in avvicinamento intasando ulteriormente l’area…e fine dei giochi! Laddove si è vista qualche eccezione (ricordo, ad esempio, una bella W su Detroit e la strepitosa prova di Ellington contro Miami), si aveva netta la percezione che la cosa fosse nata da iniziative degli stessi giocatori, e che lui le avesse semplicemente cavalcate, per poi tornare, nella gara successiva, nel grigiore dei soliti due schemi. Per la verità, anche restando fedele alla sua strategia iniziale, una piccola luce in fondo al tunnel si è intravista con l’uso del doppio play: Jack e Larkin in campo insieme, abbassando il quintetto, migliorando il ball-handling e liberando il potenziale offensivo di Jarrett sgravandolo dalla responsabilità del playmaking… Una buona idea che, stante la solita partenza “diesel” ed i soliti svantaggi accumulati fin dal primo quarto, ha consentito più di una rimonta e che, però, in quanto tale, è stata usata col contagocce dal nostro “eroe”, finendo sempre o quasi, nei numerosi finali caldi, per tornare ai suoi soliti giochi. Fatti, non opinioni! Le opinioni personali servono solo a rincarare la dose, come a proposito della sua irritante rigidità anche nelle scelte difensive. Jack, finché c’è stato, era pessimo sul pick and roll e tardivo nel comprendere ed accettare i cambi difensivi, mentre ha mostrato tutta la sua intelligenza cestistica le poche volte in cui è stato impiegato lontano dalla palla: visto solo in una occasione. Bogdanovic, al contrario, dannoso quando impiegato sulle shooting guard avversarie perché sempre in ritardo uscendo dai blocchi, ha mostrato begli scivolamenti e poteva essere provato sul portatore di palla per limitare gli attacchi al ferro: visto mai! Markel ha mostrato ancora (se ce ne fosse stato bisogno) tutta la propria attitudine difensiva fin dall’esordio, facendo penare Derrick Rose e riaprendo solo per un istante la partita inaugurale: subito ripanchinato e praticamente sparito dalle rotazioni! E poi timing sbagliati, chiamate tardive, incomprensioni (chiamiamole così) durante i finali di partita con i suoi giocatori, dichiarazioni per lo meno discutibili (memorabile un’intervista in cui, sollecitato sulla necessità di migliorare le statistiche di squadra, parlò con disprezzo dell’uso stesso delle statistiche!)…
Quando, il 10 gennaio, con un record all’attivo di 10-27, Prochorov, appositamente volato negli USA per mettere mano ad una situazione ormai allo sbando, ha finalmente annunciato la fine del disastro, con il licenziamento di Hollins ed il “ricollocamento” di King (insisto: più vittima che carnefice, ma è solo un’opinione) ad altra mansione, tutti, ma proprio tutti nell’ambiente, dai dirigenti, ai giocatori, fino all’ultimo dei tifosi (il sottoscritto, appunto…), hanno tirato un sospiro di sollievo, pur conservando in bocca il retrogusto amaro di una stagione che, senza ipotesi trionfalistiche, avrebbe potuto riservare qualche soddisfazione in più se la decisione fosse stata presa qualche settimana prima! Aveva inizio ora, e per davvero, la nuova era dei Nets 2.0. Un inizio durissimo ma promettente sotto molti aspetti, di cui, però, parleremo, a breve, in un altro lungometraggio….