Se le sliding doors sono quegli istanti che passano e possono cambiare la vita, la stagione della Pasta Reggia JuveCaserta è un incredibile crescendo atonale che alterna stridenti bassi a poderosi acuti, che han lasciato e lasceranno il segno, ieri, oggi è forse domani. La società è stata a tratti forte, come la capacità di essere unita nell’iniziale conferma di Atripaldi dopo il pessimo avvio, a tratti vacillante, con storie tese tra la presidenza Iavazzi – Barbagallo e la concreta possibilità di smantellare il tutto. Querelle che continua anche nella ore attuali e che lascia sospesi. Detto questo si è sbagliato e parecchio e non solo nella costruzione della squadra.
Molin ha pagato dopo 5 giornate errori non suoi, Markovski ha avuto carta bianca e, cacciato anche il GM, un potere così ampio che ha saputo solo ingrandire la ferita, provandola a risanare solo con qualche cerotto. Esposito è stata la mossa non si può dire disperata, ma comunque l’unica scelta possibile per tenere la città vicina alla squadra. Di fatto le scelte di pochi han condizionato il tutto, ma qui non si tratta di colpevoli e vittime. Cambiare tanto per cambiare non fa mai bene e lo si è visto.
Con la quadratura del cerchio le cose sono migliorate, ma respirare un clima di tensione, di sempre scontri, specie di natura economiche, e di ricevere solo un ritorno mediatico negativo, non è quel clima giusto che serve ad affrontare la stagione, culminata prima col -1 in classifica e poi con la retrocessione. Bisogna ora ripartire con maggiore concretezza ma soprattutto con un progetto che forse anche più piccolo nelle sue dimensioni, non sappia essere un passo più lungo della gamba: umiltà e rispetto.
Prima di passare agli aspetti tecnici una menzione va fatta alla tifoseria, sonnecchiante all’inizio ma in continuo crescendo. Se è vero che i prezzi popolari han fatto bene alla squadra anche nei momenti del bisogno la curva ha risposto presente e la voce non è mai stata di contestazione ma solo di una richiesta di chiarezza e di rispetto. Arrivare in così tanti a Pesaro a giocarsela dopo anche la querelle biglietti e posti, è la dimostrazione che si può retrocedere sul campo, ma certe atmosfere e palcoscenici non saranno mai di serie B. E rivedere il Palamaggio come catino infernale in stile anni 90′ è un tripudio di ricordi, e mi sa che anche Venezia, Reggio e Sassari, forse anche Milano, e quindi non certo briscoline, se la ricorderanno questa trasferta. Sulla squadra parliamone ma con cautela.
Partiamo da chi è andato via in corsa. Molin non era un tecnico di assoluta perfezione ma aveva scelto dei ragazzi per il suo gioco. Due stecche terribili le ha prese, ma è stato penalizzato dall’infortunio di Vitali che ha costretto a responsabilizzare fin da subito Gaines, che ha dimostrato di essere acerbo ancora per campi importanti. E il fatto che la guardia non abbia mai vinto una gara ne a Caserta ne a Pesaro, è una chiara dimostrazione. Comunque Molin dopo 5 giornate lascia la patata bollente in mano a Markovski che porta in dote Ivanov e Antonutti, santi in un’annata infernale, ma anche due perfetti punti interrogativi come Capin e Avramov, su cui ci chiediamo davvero la sua utilità. Il platoon system fa male alla Juve che perde energie fisiche e mentali, rispondendo solo al talento di Young, che dopo l’esonero del bulgaro sarà tacciato di essere come unico responsabile delle sconfitte e con Esposito arrivando le vittorie, gli si dà ragione. Sbagliato anche questo ma lo diremo poi.
Con El Diablo si vincono gare, si inizia un basket brutto sporco e cattivo che serve a rivitalizzare una piazza stupita anche dalla scelta di un fuoriclasse come Domercant che sposa il progetto e seppur non al top della forma mette la canotta. La cavalcata del girone di ritorno è eccezionale. Manca qualche colpo in trasferta, con molti rimpianti, ma nelle ultime giornate al Palamaggio cadono Venezia, Reggio Emilia e Sassari, nonché Milano se la suda fino alla sirena finale. Si arriva a Pesaro con la gara da dentro o fuori per uno stupido punto di penalizzazione e arriva la sconfitta che lancia la squadra di nuovo del mondo dei non professionisti. Non è il 98′ ma ci va vicino.
Guardando ai giocatori, facile partire da chi è andato via. Howell non era un centro e lo si sapeva, ma che potesse essere umiliato così tanto sul campo era difficile prevederlo. Ancora indelebili i fotogrammi della gara casalinga con Brindisi dove i suoi movimenti difensivi sul Pick and roll erano davvero imbarazzanti. Va via senza rimpianti, nelle Filippine dominava, sarà altro basket. Di Gaines abbiamo detto. Lo chiamavano tiratore e lui non la metteva, timido non era neanche a parole, ma di quelli che ti destabilizzavano, chissà se con Vitali sano non poteva essere quello del precampionato che segnava anche bendato con le mani legate. Capin e Avramov, quasi una coppia. Lui gioca bene nel suo modo, senza difesa e con idee non sempre brillanti, e se ne va senza infamia ne lode quando Esposito gli concede pochi minuti, come se prima ne avesse tanto di più. Avramov è un fantasma sul campo. Ogni tanto segna da tre e neanche ci si ricorda di chi sia, uno di quelli presi tanto per prendere.
Sam Young: doveva essere la stella, diverrà capro espiatorio. Talento indiscusso ovunque, difendeva anche e limitava tantissime lacune dei suoi compagni, ma se poi a referto leggi tanti tiri tendi a ricordare solo quelli. Uno degli americani più forti degli ultimi anni, chissà che qualche squadra del Nord in rosso non ci mette le mani in futuro, tanto sta dominando in Messico e Turchia a mani basse. Sugli altri parliamone. Vitali è stato l’ago di una bilancia che riflette un po’ il ragazzo bolognese. Rampa di lancio, perché il talento c’è ma deve sgrezzarsi ancora perché qualche piccola paura c’è e vedasi la gara con Trento. Però lui ci sbatte sempre la faccia ed ha quel carisma che non ti fanno mai volerlo male, anche se va tutto male. Mordente è stato capitano di una squadra che ha avuto bisogno delle sue ultime energie. La sua leadership è mancata nei confronti dei rapporti esterni, dove la sua voce poteva e doveva far tacere quei focolai dissidenti, ma se poi rispondi sul campo chi ti critica, allora sei la dimostrazione del grande basket. Tra gli altri promossi due acquisti in corsa meritano un qualcosa in più. Dejan Ivanov e Michele Antonutti sono due di quelli che ti fanno amare questo gioco, ultimi a mollare sul campo sempre a dare oltre il loro limite. A loro va detto grazie.
In linea di galleggiamento troviamo Scott, che alterna momenti in cui brucia il canestro ad altri in cui zombeggia sul campo, Moore cui va dato un 3 per la prima metà di stagione ed un 8 per le ultime 10 partite in cui è stato un gran play, nonché per Tommasini, che con Esposito si è guadagnato rispetto a stima. Una menzione a parte va data a Michelori e Domercant che a dispetto dell’età e delle condizioni fisiche han combattuto battaglie epiche e che han aiutato a sopportare questa retrocessione con onore.
Nico Landolfo