Le tare iniziali. Volendo stilare un bilancio di questo primo scorcio di stagione, non è semplice stabilire se il bicchiere dei Nets sia più giusto vederlo mezzo pieno o mezzo vuoto: la graduatoria della Eastern Conference li vede al settimo posto, con un record quasi in pareggio nonostante una messe di cambiamenti e di infortuni, comunque in piena corsa per i playoff e, dopo un inizio balbettante sotto il profilo del gioco, la squadra inizia a mostrare le prime tracce del lavoro del neo-coach Lionel Hollins (subentrato in estate alla “bandiera” Jason Kidd, migrato verso Milwakee non senza coda polemica), gerarchie più definite ed una maggiore varietà di soluzioni offensive e difensive. Il tutto condito dalle larghe vittorie nei “derby” cittadini contro i Knicks (quest’anno davvero poca cosa), il che certo non guasta! D’altro canto, la coperta tecnica si mostra ogni giorno più corta e, per ogni passo avanti registrato, emergono nuovi problemi. Inoltre, parlando dei Nets 2.0, quelli della migrazione al Barklay’s e dell’era “russa”, è impossibile non fare la tara ai roboanti proclami sbandierati all’inizio, quando, incurante di luxury tax e tetti salariali, la franchigia non si è fatta scrupolo di bruciare tutti i ponti per il futuro pur di assemblare un roster “all star” con la dichiarata ambizione di scalare il ranking della Lega e vincere subito, finendo invece per fermarsi al secondo turno dei playoff contro la corazzata Miami. In questa stagione, dopo tante scelte rivelatesi avventate, allo staff del GM Billy King si prospetta il delicato compito di dare un colpo al cerchio (conquistando la post-season) ed uno alla botte (avviando una poderosa ristrutturazione della squadra per poter programmare un futuro): una strada davvero impervia, ma senza alternative, se si pensa alla pesantezza dei contratti in essere con le stelle Deron Williams, Joe Johnson, Kevin Garnett e lo stesso Brook Lopez, nonché alla loro età media! Non a caso, nel corso delle ultime settimane, si sono susseguite voci e dichiarazioni su possibili trade soprattutto riguardanti D-Will e Lopez (recentemente attaccato in modo diretto da Hollins), rispecchiate, sul campo, complici anche una serie interminabile di infortuni, dalla perdurante esclusione di entrambi dallo starting five.
Tanti cambiamenti… Lasciamo, così, lo sfondo delle dinamiche societarie e delle strategie di mercato: tuffandoci sul piano squisitamente tecnico, le cose non appaiono meno complicate, fin dall’inizio! Basti pensare alla partenza di un certo Poul Pierce e del giocatore-chiave, per il sistema Kidd, Shawn Livingston, all’innesto di Bojan Bogdanovic (una stella in Europa, ma pur sempre un rookie oltre oceano!), al drastico cambio della guida tecnica, all’esigenza irrinunciabile di valorizzare i soli giocatori “futuribili”, Sergey Karasaev e, soprattutto, Mason Plumlee, protagonista di una inattesa esplosione nel mese di dicembre, tanto da divenire oggetto del desiderio per altre franchigie (rispedita al mittente una richiesta ufficiale dei Kings). Ne è venuto fuori un avvio di stagione problematico, fatto di prestazioni opache che hanno messo a nudo difetti strutturali soprattutto nel pitturato (ventunesimi per rimbalzi e percentuali dal campo), la mancanza di una PF di peso capace almeno di dare respiro a KG, un gioco eccessivamente perimetrale dove pure si intravvedevano buone trame e rapidità di esecuzione, costruzione di tiri aperti e ad alta percentuale dalla lunga, ma del tutto privo di alternative, finendo spesso per affidarsi ai reiterati e stucchevoli isolamenti di Williams.
La svolta tecnica. Sarà un caso, ma risultati e gioco sono drasticamente cambiati proprio in coincidenza con le assenze per infortunio di Williams e Lopez e con l’inserimento, poi divenuto stabile, di Jarrett Jack e Mason Plumlee nello starting five: i due hanno mostrato una buona intesa, costruendo l’asse portante del “new deal”, il primo, con il suo caratteristico arresto e tiro dalla media, mostrando buone cose su ambo i lati del campo, il secondo realizzando una serie di prove di forza impressionanti e collezionando doppie doppie. Intorno a loro, minuti di qualità da Garnett e, soprattutto, lo smallball atipico con JJ spesso schierato in ala forte e Mirza Teletovic dirottato sul perimetro, Karsaev nel ruolo di “spaziatore” e Alan Anderson, uscendo dalla panchina, in veste di specialista difensivo. “On the bench”, sia pure regalando spesso grandi prestazioni (la cui massima espressione si è manifestata in quel di Chicago, forse l’unica vittoria fin qui ottenuta con il piglio della grande squadra), anche e proprio i rientranti Deron e Brook. Così facendo, Holins è riuscito a rivoluzionare il piano strategico dei suoi, creando le spaziature giuste per perfezionare il gioco interno, grazie all’indiscussa intelligenza di Johnson ed all’indiscutibile potenzialità di Plumlee, e ricorrendo talora al doppio play con Williams, più spesso alla mano morbida di Lopez dalla media, laddove la qualità difensiva degli avversari era tale da imporre chili e muscoli ai “piccoli” Nets. Una operazione diversa, tatticamente, ma analoga nello spirito, a quella compiuta da Jason Kidd la scorsa stagione per far fronte alla perdurante assenza proprio di Lopez. Con il nuovo corso è arrivato un significativo incremento dei tiri dalla media ed un globale miglioramento delle percentuali da due ed i risultati sono stati tangibili: 10-15 il bilancio prima della gara con Detroit il 22 dicembre, 6-1 la striscia successiva!
Vecchie lacune, nuovi problemi. Neppure il tempo di pregustare la scalata delle classifiche, che subito tre sconfitte consecutive hanno stroncato ogni velleità di sognare per Brooklyn: evitabili, con un pizzico di buona sorte in più e magari qualche assenza in meno, quelle contro Miami e Dallas, sconfortante la debacle casalinga con i Celtics, che ha fatto registrare una nuova involuzione in termini di gioco, tra montagne di turnover e pessime percentuali! I problemi, insomma, non solo non sono venuti meno, ma addirittura altri sembrano essersene aggiunti: 1) Plumlee soffre ancora maledettamente contro avversari fisici e sufficientemente dotati, e con lui tutta la squadra: si spiega così, a nostro avviso, la tremenda imbarcata incassata ad opera dei Pacers nel bel mezzo di una striscia vincente; 2)Teletovic si è inceppato e stenta a ritrovare la sua dimensione; 3)Bogdanovic pare avulso dal nuovo corso e sta scivolando ai margini delle rotazioni; 4) Johnson produce anche ottime performance in post, ma perde fatalmente lucidità quando torna sul perimetro, vivendo un drastico calo delle proprie percentuali e non riuscendo più ad incantare con la pulizia del suo tiro, come avveniva prima; 5) il resto della panchina produce molto, troppo poco, nonostante si sia cercato di allungarla con gli inserimenti di Morris e Davies (quest’ultimo già tagliato) e qualche fiammata dell’ex Virtus Jerome Jordan. Emblematica, in tal senso, proprio la sconfitta all’OT contro i Mavs, segnata da un impietoso 41-11 nel confronto tra le due panchine (assenti DW e KG), al punto da costringere la società a richiamare frettolosamente i rookies Jefferson e Brown dalla D-League!
Certo, le vittorie messe in cascina nel corso delle scorse settimane saranno prezioso fieno per i tempi di magra, in vista della volata playoff, ma le prove del fuoco, per i Nets, sono già alle porte e rispondono ai nomi di Houston, Memphis, Washington, Portland, Atlanta, Toronto, Clippers…tutti da affrontare, in rapida successione, di qui alla sosta per l’All Star Game. Non sarà semplice, per Holins, trovare la quadratura del cerchio in un ciclo del genere, con società, squadra e tifosi, peraltro, distratti (non a torto) più dalle vicende del mercato delle trade, che dai risultati provenienti dal parquet! E chissà che, nel prossimo, decisivo mese, non occorrano altri, significativi ed auspicabili cambiamenti, nel cantiere aperto chiamato Brooklyn Nets…
Marco Calvarese