Roma, 1 luglio 2014 – E’ una Nazionale di Basket in carrozzina sicura, decisa e con le idee ben chiare quella che si appresta a partire per la Corea del Sud ove si disputeranno i Mondiali di categoria. Oggi tutta la missione si è presentata alla stampa con l’obiettivo di ben figurare e, possibilmente, di stupire ma anche per denunciare un silenzio assordante della stampa e dei mezzi di comunicazione che nel nostro Paese non danno a questi ragazzi ed alla loro disciplina la giusta dimensione mediatica.
Abbiamo quindi riportato le dichiarazioni dell’Head Coach Cappelletti e del Capitano Azzurro augurando a loro Tutti un caloroso e sentito IN BOCCA AL LUPO.
Cappelletti:
“L’ambizione è quella di giocarci ogni partita fino in fondo. L’obiettivo è dare il massimo per 40 minuti senza guardare il punteggio e a fine partita alzare la testa e vedere com’è finita. Se lavoriamo bene, con intensità e di squadra – perché squadra vuol dire che ogni giocatore si sacrifica per il compagno e mettere il “noi” davanti all’ “io” – il risultato sarà una conseguenza. Il girione è duro ma questa è una bella motivazione. Noi siamo l’Italia e credo che anche gli altri avranno qualche tarlo nella testa pensando a doverci affrontare. Prima di morire, tireremo fuori l’ultima goccia di sangue. Il gruppo ha lavorato individualmente secondo la programmazione del nostro preparatore atletico. Alcuni hanno finito il campionato prima, altri hanno fatto i playoff. Come motivazioni e preparazione fisica li ho trovati bene. Purtroppo in Italia non c’è grande attenzione sul nostro mondo. Siamo il terzo mondo. L’Italia va al Mondiale ma nessuno lo sa. Questo è irrispettoso nei confronti del mondo paralimpico. Nelle altre nazioni il disabile viene visto come atleta e non c’è differenza col normodotato. Comunque voglio una Nazionale col sorriso. Facciamo lo sport più bello del mondo, il basket, la Nazionale deve essere la nostra seconda famiglia. Ognuno ha il proprio ruolo, ma bisogna vivere questa esperienza come un privilegio. Ho dei giocatori che per me sono come dei figli. Esigo da loro il massimo, ma sono il primo che gli riconosce poi quando le cose sono fatte bene. Troppe volte la Nazionale è stata associata all’allenatore, che veniva prima dei giocatori. Invece prima vengono i giocatori, poi l’allenatore. I veri attori sono i giocatori”.
Cavagnini:
“L’emozione è sempre la stessa. Con la consapevolezza di avere molte più responsabilità rispetto ai primi tempi. Abbiamo pagato la delusione di Londra 2012, ma do grande merito a coach Cappelletti per aver ricompattato il gruppo e averci restituito la voglia di soffrire insieme. Dopo un anno così duro non era facile. Stiamo lavorando già per Rio 2016. Agli Europei ci siamo riproposti come una grande squadra, con la voglia giusta. Abbiamo una grande forza. Con l’esperienza ho imparato a non pormi obiettivi. A livello personale voglio dare tutto ma questo è abbastanza scontato per un atleta, che deve uscire dal campo sapendo di aver dato tutto. Questo vale per tutta la squadra, ora che l’umore del gruppo è alto. La marcia di avvicinamento non è stata semplice, saremo ufficialmente l’ultima squadra che arriva in Corea e abbiamo iniziato a lavorare tutti insieme da poco. Non sarà semplice, dovremo abituarci velocemente al fuso orario, ma questo non ci impedirà di dare tutto. Attualmente la preoccupazione più grossa è quella. Ma saremo pronti alla battaglia. Da capitano sono orgoglioso di questo gruppo. E’ come volevo crearlo, c’è il giusto mix tra “senatori” e giovani. Riguardo a ciò che è successo ai Mondiali di calcio, non conosco le dinamiche ma dico solo che in una Nazionale i senatori devono aprirsi ai giovani, i quali però devono anche porsi nel modo giusto. Credo che i panni sporchi si debbano lavare in famiglia piuttosto che far uscire fuori le cose in pubblico e che la colpa non è mai di uno solo, per quanti errori possa avere fatto un giocatore in campo e fuori. Si vince e si perde tutti insieme. Riguardo alla situazione dello sport paralimpico, credo che ci sono altre nazioni messe molto peggio rispetto all’Italia. Negli Stati Uniti, a parte alcune università, non sanno neanche cos’è lo sport paralimpico. A me è capitato addirittura di essere riconosciuto in vacanza come un giocatore di basket in carrozzina e non mi era mai successo prima”
Paolo Pizzi