Come nelle favole più belle. Quelle che si raccontano ma a cui nessuno crede perché, appunto, sono favole. Vince il Maccabi. Ma è tutto assolutamente vero. Mvp Tyrese Rice, assolutamente incontenibile e che dal canestro vincente contro Mosca è stato semplicemente un uomo in missione, per portare sul trono d’Europa la squadra che nessuno avrebbe pronosticato in queste finali. Ma, a ben vedere, è il terzo anno consecutivo che le Finali di Eurolega confermano il canovaccio per cui, quando si tratta di vincere, il gruppo può più del talento: 2012, l’Olympiakos sciocca l’Europa cestistica con una rimonta pazzesca, culminata con il canestro ormai storico di Printezis, per abbattere il milionario Cska di Kirilenko, stessa storia l’anno scorso a Londra, con la doppietta dei greci che fermano il Real dei grandi nomi. Che anche quest’anno si blocca sul più bello, quando, dopo lo sberlone al Barcelona nel clasico, sembrava aver definitivamente trovato la quadratura del cerchio e, dunque, essersi avviato verso l’inevitabile trionfo continentale.
E invece no. Perchè sulla sua strada si è parata la squadra del destino, che giocava sul campo che il suo destino l’ha segnato. Già, perchè il bello di queste Final Four, come sempre, è stato l’incredibile incrocio di storie che si sono susseguite. L’ascesa di Tyrese Rice, la definitiva incoronazione di David Blatt (oggi miglior allenatore nel vecchio continente), le vittorie impossibili degli israeliani al Forum. Eh sì, perchè questo successo parte dal 16 di aprile, da poco più di un minuto dalla fine di gara 1 di playoff contro l’EA7, con Hackett e compagni avanti di 12 e pronti a mettere le mani su una serie che li porterebbe a giocarsi le Finali in casa. Da lì parte l’incredibile storia del Maccabi invece. Che rimonta come ben sappiamo, vince ai supplementari e poi passerà il turno vincendo entrambe le gare in casa. E la semifinale con Mosca non si è discostata troppo da quello spartito. 15 punti di scarto a metà del terzo quarto, con il Cska in totale controllo della gara. Poi, anche lì, qualcosa è cambiato. E qui ci sono i primi meriti di Blatt, che riesce a trasferire alla propria squadra una calma e una sicurezza nei propri mezzi olimpica. In entrambe le vittorie di questo fine settimana milanese, i gialli hanno fatto la differenza perchè non sono mai andati in modalità panico, cosa che, invece, è puntualmente accaduta, a un certo punto, sia a Mosca che al Real. La squadra di Messina non ha avuto la forza di fare quella giocata in più che sarebbe bastata per vincere, Madrid, invece, ha dato l’impressione di stare aspettare il momento in cui, quasi per un fatto naturale, si sarebbe aperto il divario e avrebbe vinto la partita in scioltezza. Ma più il tempo passava, più il momento non arrivava e, anzi, dopo aver rimontato 11 punti di svantaggio, Tel Aviv aveva avuto anche la chance di portarsela a casa nei regolamentari, la coppa.
David Blatt, dicevamo, che si mette in tasca tutti i suoi avversari: da Messina, Laso e Pascual presenti a Milano, a quelli rimasti fuori come Obradovic, Bartzokas e lo stesso Banchi. L’ex coach di Treviso ha saputo modellare il suo roster alle sue esigenze, creando una macchina da punti in attacco grazie a equilibri solidi (la coppia Tyus-Sofo sotto, le penetrazioni di Rice e Ohayon e gli spazi per il tiro da fuori dei vari Smith e Pnini, l’atipicità di Blu da 4) supportata da una difesa che tra semifinale e finale è diventata improvvisamente affidabile come non lo era stata tutto l’anno. Contro il Cska gli svantaggi di taglia sono stati colmati con rotazioni, raddoppi e difese miste (e anche da una giornata storta di tiro per Mosca), in finale, senza questo gap a sfavore, Schortsianitis e Tyus hanno poco per volta preso il comando dell’area, togliendola di fatto all’attacco madridista, che alla fine ha dovuto tentare ben 34 tiri da 3 sui 74 totali.
E poi ovviamente c’è Tyrese Rice, l’uomo copertina, con il suo canestro vincente in semifinale e i 26 punti (15 nel supplementare) in finale. Rice che fino ad oggi era stato un pezzo importante del puzzle (come sono tutti i pezzi in gruppi come quello del Maccabi) ma che non aveva certo abituato a exploit del genere. E invece è stato lui a trasformarsi nel tassello mancante per il trionfo. Blatt, infatti, aveva sì avuto difesa, una squadra unita, pronta a passarsi la palla e a giocare senza egoismi per superare le difficoltà, ma senza un uomo che elevasse il proprio rendimento in maniera esponenziale non avrebbe potuto pensare di fare quel che ha fatto. E qui, obiettivamente, gli dei del basket ci hanno messo di nuovo le mani: a un certo punto della finale, l’ex Boston College, è sembrato talmente in trance agonistica che ogni sua conclusione sembrava destinata al fondo della retina tanto che, quando ha tirato per la vittoria sulla sirena di fine tempi regolamentari, la maggior parte degli incredibili tifosi israeliani erano già sicuri di poter esultare. E anche lo stesso Rice è stato abbastanza eloquente sulle sue prestazioni: “Non so davvero come spiegarlo. Davvero, non ho idea di cosa sia successo. Sono senza parole io stesso” le sue dichiarazioni a fine gara.
Si potrebbe restare a parlare ore e ore di questo, ennesimo, miracolo sportivo. Di David Blu che si mette in bacheca la terza Eurolega. Agli ex “italiani” Hickman, Smith e Tyus che arrivano alla massima dimensione continentale. A Sofoklis Schortianitis che se solo potesse stare in campo 25 minuti invece che 15 sarebbe uno dei giocatori più dominanti del basket europeo. A Pnini e Ohayon, gli unici israeliani di nascita del gruppo, che sono il volto di questa squadra e in cui si identificano le migliaia di tifosi che, come sempre, hanno invaso la sede delle Finali. Rumorosi, colorati, a volte esagerati sulle tribune. Ma, di base, innamorati follemente dei propri colori.
E tutti gli altri? Real, Barca, Cska, ora si trovano davanti all’aftermath di questa delusione. Che è grande per tutte e tre. Real e Cska sembravano le predestinate alla finale, anche solo per le quantità folli di dollari investiti. Il Barça veninva da una stagione praticamente perfetta della Top 16 in poi, anche se sulla carta il roster, rispetto alle due precedenti, aveva qualcosina in meno. Le conseguenze potrebbero essere, e probabilmente saranno, pesanti. A Mosca già pochi minuti dopo l’eliminazione in semifinale sono uscite le voci dell’addio certo a fine stagione di Teodosic e Krstic, oltre a quello già preventivato di Messina, che addirittura si è raccontato che potesse dare le dimissioni immediatamente (ricordiamo che il Cska in campionato è sotto 0-2 al secondo turno di playoff con Kuban, avendo perso entrambe le partite in casa).
Il Real è al secondo grande fallimento consecutivo. La squadra magnifica fino a 48 ore prima si è sciolta come neve al sole. Rudy ha giocato menomato per una frattura a un dito (e infatti dal secondo tempo in poi si è visto poco), Llull ha chiuso con 0/7 al tiro, Mirotic ha faticato tantissimo, Rodriguez ha perso la bussola della partita sul più bello, non certo aiutato da coach Laso che, dalla panchina, ha avuto responsabilità non secondarie. E anche in catalogna alcune riflessioni andranno fatte. Allo stesso modo a partire da coach Pascual, che continua a non convincere. In campo Lorbek e Nachbar sono sembrati in difficoltà ormai a questi livelli, Papanikolau ha giocato un annata sotto le aspettative e Navarro comincia a sentire gli acciacchi dell’età.
Siamo certi che fra un anno le ritroveremo, come sempre, qui a lottare per i massimi scenari europei. Ma magari le lezioni che, Olympiakos prima, e Maccabi adesso, hanno impartito serviranno per costruire squadre magari meno costose, ma più efficaci quando si tratta di vincere.
Nicolò Fiumi