Il fido inviato di NMTPG (che poi ovviamente sono sempre io) ieri sera ha sfruttato gli accrediti gentilmente forniti da All Around (sì, per una volta anche noi figli di un dio minore dell’NBA abbiamo diritto ad un accredito a qualcosa!) per partecipare all’evento organizzato dalla gazzetta.
La serata aveva lo scopo di promuovere la nuova collezione di DVD in vendita con la Gazza da questa settimana, dal titolo NBA History. Trattasi di 17 uscite, ognuna dedicata ad una stagione (e in particolare alla squadra campione) di un anno tra il 1997 e oggi. Ogni DVD è introdotto dal sempre pregevole monologare del Buffa nazionale, e commentato da Flavio Tranquillo. Insomma, roba buona. Peccato solo per un prezzo a mio modesto parere fuori da ogni buon senso, qualche centesimo in meno di 13 € a uscita (comprensivo di un numero di un giornale rosa con 40 pagine interamente dedicate al calcio, una sorta di oggetto ornamentale di cui personalmente non riesco a percepire l’utilità, ma sarà colpa mia …): per completare la raccolta parliamo di oltre 200€, non esattamente per tutte le tasche.
L’evento però sa di prestigioso: sede del Corriere, in via Solferino, ingresso con tanto di hostess vestite in nero, che controllano i suddetti accrediti (che ovviamente non corrispondono minimamente in nome e numero a me e all’amico che mi ha accompagnato, ma l’hostess ci guarda, capisce, e mossa a pietà ci fa entrare lo stesso), saletta con maxi schermo e pareti in legno vivo, buffet con camerieri in divisa. La scaletta prevede la presentazione della collezione, la visione del derby della Mela, commentato da Dan Peterson, e per non farsi mancare proprio niente, anche un intervento di Buffa nell’intervallo.
La partita
Ecco, per non farvi pensare che questa rubrica non abbia alcuna attinenza col basket giocato, diciamo qualche parola su Knicks-Nets. Questo suffragando l’ipotesi un po’ forte che questa partita abbia qualcosa a che fare col basket giocato. Trattasi di clamorasa non competitiva, con i Knicks che si impegnano al massimo per far sembrare i Nets una squadra rispettabile, mentre le retine più o meno provano degli schemi offensivi di fronte a sagome di cartone con su le canotte dei Knicks. Deron Williams, di ritorno dopo un po’ di assenze per le caviglie martoriate, torna, parte dalla panca, poi entra e sulla prima azione ci regala uno splendido crossover, finito a centro area con un runner a una mano che si adagia dolcemente in fondo alla rete. Il buon giorno si vede dal mattino. Ma anche no: dopo quest’azione D-Will sparisce del campo, per lasciare il proscenio a un Kirilenko tanto stupefacente in difesa quanto incapace di metterla nell’oceano in attacco, ma soprattutto a Joe johnson in un’edizione extra lusso. Dall’altra parte si segnala Melo, autore dei peggiori (nel senso di totalmente inutili alla causa della squadra) 25 punti dai tempi in cui quella casacca (anche se di qualche taglia in più) la indossava Zach Randolph. E poi ovviamente Bargnani, l’icona di questi Knicks: in evidente stato confusionario per l’improvviso panchinamento a favore del quintetto piccolo, il mago viene maltrattato in almeno 3 occasioni dai Nets, quando l’avversario diretto, come si accorge di essere solo contro di lui, gli spara un jumpshot in faccia, o si esibisce in crossover da circo. Difendere Andrea in questa strepitosa imitazione di un paracarro pare difficile, ma a pensarci bene non è nemmeno tutta colpa sua: se l’attacco crea una condizione di cambio difensivo e isola un piccolo (o comunque un esterno) contro il mago a 4 metri da canestro, e nessuno fa nemmeno finta di andare ad aiutare, sperare che Bargnani possa fare qualcosa mi sembra onestamente ingenuo…
La gente
Strana estrazione di umanità quella presente ieri sera: l’età media era bassa, diciamo fra i 17 e i 25 anni, anche se non mancavano diversi “enta” e persino “anta”. Poi un papà col bambino e, insospettabilmente, anche alcune ragazze (e qui chiedo scusa anticipatamente ad eventuali esperte e preparatissime bloggiste presenti in sala). Erano generalmente accompagnate dal rispettivo ragazzo, con assortimenti di coppie un filo stridenti. Loro (i maschi) riconoscibili dal jeans strappato, la felpa col cappuccio, tipicamente dei Celtics (evvai, vecchio cuore biancoverde!), le ultime Jordan e spesso quell’afrore da “ragazzi che partita oggi al campetto, non ho nemmeno avuto il tempo di passare a casa per la doccia”. Le ragazze invece tirate come pantere. Ed è lì che intuisci che lui l’ha blandita con un “dai, stasera ti porto fuori a cena, andiamo in un palazzo storico in centro, a una serata di gala con alcune celebrità”.
Tra l’altro, essendo tutti o quasi curatori di blog sull’NBA, il livello di conoscenza o presunta tale sull’argomento è elevatissimo: ovunque ti giri origli capannelli di persone che disquisiscono animatamente sul PER di Shaun Livingston o sulla midlevel exception dei Bucks con cui potrebbero prendere il tale solo se venisse tagliato, ma rinunciando ai Bird rights…
Non so se vi è mai capitato di essere all’estero, di veder arrivare un italico gruppo, molesto e caciarone (spesso di provenienza capitolina), e di ritrovarvi istintivamente ad improvvisare con vostra moglie un patetica conversazione in inglese, così, in un penoso tentativo di prendere le distanze da voi stessi…
Ecco, io che di solito quando trovo qualcuno con cui scambiare 2 parole sull’NBA mi ci accozzo, trattandosi di merce rara, ieri sera sentivo un irrefrenabile desiderio di parlare di Schopenhauer e dell’Anabasi di Senofonte.
Per punizione a questi miei pensieri troppo snob, la persona seduta affianco a me durante la partita era uno dei ragazzi descritti sopra, decisamente corpulento e caratterizzato dal perverso piacere di picchiettare convulsamente il tallone, generando 2 ore di movimento oscillatorio che mi ha creato del burro nello stomaco. Che sia troppo vecchio per queste cose?
Il Coach
Il commento della (con licenza parlando) partita è stato di Dan Peterson. Quei pochi fortunati (!?) che mi leggono da un po’ sanno che sulle performance vocali del Coach negli ultimi anni sono piuttosto dubbioso. Allenatore di doti del tutto fuori discussione, è stato quello che ha portato in Italia non solo lo sport americano, ma anche la cultura americana, senza conoscere la quale lo sport americano è del tutto inintellegibile. E tutto questo in uno splendido stile anni 80, misto di ingenuità e gusto dell’eccesso: se oggi, anche in Italia, l’NBA è quello che è, lo dobbiamo a lui. L’impressione però che oggi le sue telecronache fossero esagerate, semplicistiche, con valutazioni sui giocatori insensate o superficiali era sempre presente. Ieri sera devo ammettere di aver fatto almeno in parte la pace con Peterson.
Intanto perchè, visto dal vivo, la carica umana della persona è significativa. Passa con disinvoltura dal giudizio super tecnico da allenatore su un piccolo particolare apparentemente insignificante allo stroncare senza appello un giocatore per criteri che sembrano più vicini al “mi sta antipatico” tipico del secondo anno d’asilo, che non al giudizio tecnico. Il tutto però mischiato a una discreta verve, alla battuta pronta, all’essere gigione nel suo ruolo e quasi nella sua maschera.
Ha stroncato in due parole Pistol Maravich, sotto gli occhi increduli di Buffa, che nell’intervallo si preparava a intesserne le lodi. Ha detto che Felton è grasso, che Bargnani è grasso, perfino che Udrih è grasso: mancava che dicesse che JR Smith aveva 3 buchi nel sedere (come il mitico Cicciobombo Cannoniere, per chi avesse meno di 30 anni e non conoscesse l’istruttiva filastrocca…), e la disamina tecnica era completa.
Per tutti i time out è stato tormentato dalle insidiosissime domande da twitter, l’80% delle quali si riduceva a chiedere se il tal italiano, da Daniel Hackett a mio Cuggino, fossero già pronti per l’NBA adesso, o fosse più saggio per loro aspettare giugno; lui se l’è cavata con signorilità, dicendo che sono tutti forti e cambiando argomento.
L’ho trovato un po’ appannato nell’ultima mezz’ora, ma sinceramente ci farei la firma per essere così appannato alle 11 di sera quando avrò 80 anni…
Il cantastorie
Solo un accenno a Buffa, giusto per non sembrare troppo nerd.
Era lì, a pochi metri, e già solo questo è stato emozionante (e qui la nerdaggine è già oltre i livelli di guardia). Avrei voluto avvicinarmi, parlargli, chiedergli di raccontarmi tutto quello che sa su John Stockton, ma una folla urlante di persone l’ha attorniato (comprensibilmente) quasi tutto il tempo, tra foto ricordo, autografi su Black Jesus e inviti agli eventi più improbabili. Sarà per un altra volta. Quando si sono spente le luci e Peterson ha iniziato a commentare la partita, lui è rimasto in piendi contro una parete, attento, con gli occhi tra l’ammirato e l’incredulo, a volte ridendo alle battute del coach, a volte forse mordendosi la lingua per le castronerie elargite con generosità. A tratti spariva nel retro palco, sa il diavolo a fare cosa, poi tornava. Nell’intervallo di metà partita ci regala un monologo di meno di 10 minuti, partiamo con Maravich, poi Rodman e il suo abito da sposa, Malone che chiede l’autografo a Chamberlain, l’esordio di Iverson, e poi ovviamente lui, l’odioso Jordan e il maledetto (per noi – numerosi – che tifavamo Jazz) nausea game. Tutta roba già sentita ma, come si dice, con quella bocca potrebbe dire qualsiasi cosa. Il sentirlo e vederlo live non ha prezzo, e valeva da solo la serata.
Federico, quando hai tempo per quella chiacchierata sul ragioniere da Spokane, noi siamo qua.
Vae Victis