Successo niente di importante di settimana?
Ebbene sì, il digiuno è finito, la regular season NBA è ripartita e Sky ci ha già offerto una discreta abbuffata di partite in questi primi 4 giorni. Tutto bene allora?
Non esattamente, e prima di dedicarci al tema di oggi, apriamo:
L’angolo della polemica
Pare (ma sono sempre in attesa della lieta novella che dica che ho capito male, o che “stavano scherzando”) che quest’anno a commentare le partite di Sky non ci sarà Federico Buffa. Per gli estimatori del genere (categoria che ritengo comprenda chiunque abbia mai sentito una telecronaca del Buffa Nazionale), è come dire che il prossimo motomondiale sarà fatto senza le moto. Ci saranno i piloti, i caschi, le tute, i box, il podio e lo champagne, ma niente moto. Qualcuno potrebbe notare la differenza. Il motivo, come si legge sulla pagina Facebook di Buffa, è che Sky ha deciso che quest’anno i servigi del nostro erano più utili per una serie di programmi e servizi che ruotano, che sorpresa, intorno ai mondiali di calcio. Quindi, a causa di sovrapposizioni di tempi, niente più NBA. Traspare nelle parole di Buffa una “correità” nella situazione, nel senso che il nostro, messo di fronte alla scelta (perchè poi?) tra NBA e Mondiali, abbia scelto questi ultimi. La verità per intero non la sapremo mai, ma di certo Sky da parte sua per l’ennesima volta ci ha messo per ultimi fra le proprie priorità.
Questa cosa va a sommarsi ad una lunghissima serie di maltrattamenti a cui il tifoso NBA viene sottoposto periodicamente dal gruppo di Murdock, che non perde occasione per sottolineare che degli amanti della palla spicchi a loro non importa nulla. Non che disdegni di richiederci i soldi puntualmente ogni mese, però. Statisticamente non esistiamo. “Felici” possessori del pacchetto Sport, ovvero il minimo sindacale per poter vedere l’NBA, non abbiamo diritto ad un pacchettino più piccolo (e meno oneroso!), che sia ad esempio “solo Basket”, o “solo sport minori”, o “solo sport americani”, ma dobbiamo prendere (e pagare) anche la corposa componente calcistica (personalmente in 15 anni da abbonato non ho MAI sintonizzato il mio decoder sul canale 201, quello del calcio, per capirci). Ogni 2 o 3 estati parte poi, nel rigoroso riserbo dell’azienda, la trafila per il rinnovo del contratto con l’NBA; il giallo si risolve puntualmente solo a ottobre inoltrato, e fin qui siamo sempre stati fortunati, nel senso che alla fine con mano sul cuore Sky ha sempre trovato l’accordo e rinnovato. La volta che però l’accordo non si trovasse, ci saremo simpaticamente trovati a pagare il periodo dalla fine del campionato fino alla conferma della ferale notizia senza trarne alcun beneficio. Parliamo pur sempre di un bel 140€ per quei 4 mesi, quindi non necessariamente noccioline. E poi c’è il continuo assalto a Buffa che, compiacente o meno, viene continuamente cooptato per dedicarlo al calcio: quest’anno sembra essere arrivato il successo finale. Ovviamente il tutto si consuma nel completo riserbo dell’emittente che, a meno che mi sia perso qualcosa io, non ha nemmeno trovato necessario spendere 2 parole per spiegare perchè il commentatore più amato dell’NBA dopo 15 anni di onorato servizio viene cancellato dall’etere.
Sia chiaro, per completezza di informazione, che il “prodotto” NBA offerto da Sky era ed è di altissimo profilo, le partite trasmesse sono tante, sia in originale e diretta che in replica con commento, la disponibilità dell’HD, le puntuali e interessanti rubriche e studi di approfondimento, e i commentatori (a partire ovviamente da Flavio Tranquillo) sono eccezionalmente competenti. Sinceramente Buffa offriva però quel qualcosa in più che faceva pendere la bilancia ancora verso Sky, non ostante la crescita di qualità di servizio offerta dal principale concorrente, ovvero l’NBA League Pass.
A voi la scelta.
Torniamo in riga
Ma veniamo, dopo questa doverosa premessa, all’argomento di oggi, e dopo l’angolo della polemica apriamo quello della … filosofia. Come promesso (e con un modesto ritardo di solo 1 settimana) oggi chiudiamo la carrellata sulle mie personali contenders di quest’anno con 2 nomi, Indiana e Golden State (presto forse San Francisco). Non ne parliamo solo in quanto tali, ma come massime esponenti moderne di uno dei più antichi e appassionanti dibattiti dopo quello dell’uovo e della gallina: è meglio una squadra difensiva o una offensiva (lasciando ai più acuti di voi a quale categoria appartenga ciascuna della due citate)?
Se ne parlava già ai tempi delle sfide fra gli spumeggianti Lakers di Magic e i mastini biancoverdi di Bird, ma negli anni abbiamo avuto diversi esempi di questi due fenotipi di approccio al basket, ovvero: sono così forte in attacco che posso non difendere, tanto sono sicuro di poterne segnare sempre almeno uno più degli altri, oppure mi fido così tanto della mia difesa da essere sicuro che gliene farò segnare sempre uno in meno di me.
Esponenti dello Score-First sono stati ad esempio, oltre ai Lakers anni 80, i Suns di Nash e D’antoni, i meravigliosi (ma durati troppo poco) Sacramento Kings di inizio 2000 (Bibby, Webber, Stojakovic, Divac), i Warriors degli anni 90 di Don Nelson e del RunTMC (Tim hardaway, Mitch richmond e Chris mullin), e ora i Warriors attuali degli Splash Brothers (Curry e Thompson).
Il defense first ha invece avuto come interpreti migliori ovviamente i Celtics di Russel, poi quelli di Bird-Parish-McHale, i Bad Boys di Detroit (sia nella versione Thomas-Dumars, che in quella di Billups, Hamilton, Prince e i Wallace), gli ultimi Celtics campioni con i Big Three, i Bulls di Thibodeau, gli Spurs dei 4 titoli, e ora i Pacers.
Guardando alle squadre citate, la prima risposta che viene da dare è che le squadre del secondo gruppo hanno vinto quasi tutte almeno un anello, mentre gli unici ad avere vinto il titolo sono i Lakers di Magic.
Quindi le squadre difensive vincono più di quelle offensive.
Curioso: non si diceva che una delle grandi verità del basket era che un buon attacco batte sempre una buona difesa? Direi che questo punto è innegabile (prova ne sia il canestro allo scadere di Rose per vincere la recente partita contro NY). E allora come si concilia questo col fatto che le squadre difensive vincono di più? Per quanto poco romantica, la motivazione a mio parere è prettamente statistica. Su singola azione il postulato di cui sopra è sacrosanto. Su più azioni? Su un’intera partita? Su una serie a 7 gare? Su 4 serie di sette gare? Le cose cambiano un pochino. Un buon attacco, anzi un eccellente attacco, ha necessità di un bilanciamento tra tiro da fuori e tiro da sotto. Se l’attacco è ben organizzato, riuscirà a produrre buoni tiri da fuori; questi ultimi però, per quanto presi col giusto spazio e timing, e magari anche da specialisti, sono sempre soggetti un’alea di incertezza elevata: periodo no del tiratore, piccoli infortuni, aspetti psicologici, pressione, sfortuna di un rimbalzo sul ferro. Diciamocielo: per quanto uno possa essere uno specialista, il processo di infilare una boccia in un cerchio dal diametro nemmeno doppio da oltre 6 metri di distanza è per forza soggetto a variabilità. E se non entra il tiro da fuori (e sui grandi numeri di una o più serie può capitare, si pensi ad esempio al 2 su 19 di Starks nella gara 7 della finale contro i Rockets, dopo aver portato fin lì i suoi Knicks nel ‘94) l’attacco si inceppa, i tiri da sotto diventano più prevedibili e quindi facili da contestare, e anche il miglior attacco può produrre sotto media. Detta in maniera matematica (giornataccia per voi lettori oggi, eh?), nel tiro da fuori il risultato non si muove in maniera sempre lineare con impegno, allenamento, talento. In difesa invece sì: più ti impegni, più ti sei allenato, più hai provato schemi difensivi, più hai talento e atletismo, migliore è il risultato che ottieni. Sempre.
Questo spiega buona parte degli esempi riportati prima. In realtà però c’è il trucco. Nessuna difesa, per quanto forte, può lasciare a 0 gli avversari e vincere … 1 a 0 battendo un libero. Dei punti a tabellone vanno messi per forza, specie nell’ultimo quarto, e di solito i grandi difensori sono attaccanti modesti. Se andate a prendere gli esempi citati prima, molte di quelle squadre avevano a roster anche l’ingrediente segreto che trasforma un’ottima squadra difensiva in un campione NBA: la stella. Il Bird, il Duncan (anche il Ginobili in questo caso), il Pierce, il Billups che con atti più o meno eroici mettono quei 5, 6 canestri quando conta per vincere una partita.
Se prendiamo una delle squadre più vincenti di sempre, i Bulls di Jordan, passati alla storia soprattutto per le prodezze realizzative di MJ, in realtà erano un ottimo esempio di questa teoria. I Bulls non facevano 120 punti a partita, ne facevano (e spesso con una certa fatica) 70-80, a volte 90. Ma avevano una difesa eccezionale: Pippen e Grant, poi Pippen e Rodman, con l’amichevole partecipazione di Jordan (comunque ottimo difensore, QUANDO VOLEVA) e delle lunghe braccia di Harper, riconvertitosi specialista difensivo. Una difesa eccezionale teneva a contatto gli avversari fino all’ultimo quarto mentre la squadra si arrabattava per mettere qualche punto a tabellone: poi arrivava l’Alieno, metteva gli ultimi 10 punti e si andava via con la parte buona del referto.
La logica conseguenza …
E dopo tutto questo sproloquio, concludiamo con le due squadre di oggi: Indiana, in quanto oggettivamente ottima squadra difensiva, dovrebbe avere ottime chance di anello. Peccato che per quanto detto prima manchi della stella. Certo Paul George sta dichiaratamente studiando da All Star, e queste prime partite di stagione evidenziano ulteriori progressi in questo senso. Non mi sembra però ancora abbastanza per poter dire: vi vinco io le partite quando serve. Detto questo, è innegabile che i Pacers stiano lavorando bene: mantengono il gruppo unito da diverso tempo, permettendogli di crescere insieme. Hanno confermato West (il quale con buona pace di George, che pure ha ovviamente maggior potenziale, resta ancora la prima opzione offensiva), e hanno arricchito la loro panchina (l’anno scorso chiaramente il loro punto debole) con un veterano con punti nelle mani come Scola e un play d’ordine e buon difensore come CJ Watson, indispensabile nella conference con Rose e Williams. Da capire il caso Granger, l’ex stella e go to guy della squadra ora caduto in disgrazia, ancora in bacino di carenaggio e con contratto in scadenza. Quando tornerà potrebbe essere una buona aggiunta dalla panchina (non mi ha mai entusiasmato, ma mettere a referto 15 punti in una trentina di minuti non sarà senz’altro un problema per lui), oppure un’utile merce di scambio per ottenere qualche altro pezzo mancante. Per quest’anno non li vedo come favoriti nemmeno per la finale a est (continuo a preferire Chicago e Brooklin, oltre ovviamente a Miami), possono rimanere a un ottimo livello tanti anni, ma per diventare una reale aspirante al titolo hanno bisogno che George diventi un top Five NBA. Non è lontanissimo, ma il passo dall’ottimo giocatore alla stella assoluta è il più difficile. Vedremo.
Il mio pezzettino di cuore
Quest’anno (e magari fosse solo per questo!) in cui Boston non potrà in alcun modo essere una squadra da titolo (faccio fatica a pensare anche solo che possano essere una squadra) ho deciso di legarmi sentimentalmente ad un nuovo amore ad interim, e al momento la scelta non può che essere per i Warriors. Outsiders il giusto (che gloria c’è a tifare Miami o OKC?) sono la storia più bella della scorsa stagione, col loro gioco spumeggiante, il team veramente giovane ma sorprendente, il coach predicatore, l’australiano sempre rotto e ovviamente il bipede più eccitante che oggi si destreggi sui 28 metri, ovvero Steph Curry. Sgombriamo subito il campo dai dubbi:
1) non possono vincere l’anello
2) se si infortunano (e i più indiziati sono ovviamente Curry e Bogut) la loro stagione finisce male
Detto questo, saranno la squadra più eccitante e divertente da vedere. Certo, purtroppo al netto delle orrende maglie della salute che questi poveretti sono costretti ad indossare dallo spietato marketing. Nella versione casalinga bianca siamo ai limiti della segnalazione alla buoncostume…
Il mercato è stato notevole: andati Jack e Landry, che avevano dato parecchio alla causa ma costavano troppo, i loro sostituti sono Douglas, Speights e Jermain O’neal, ringiovanito dagli sciamani di Phoenix e rivisitatosi come specialista difensivo; complessivamente GS ci ha perso, ma non così tanto, e non su una componente fondamentale del loro successo passato. La firma principale è invece ovviamente quella di Andrè Iguodala. Appena appresa la notizia non sono stato esattamente entusiasta, non valutandolo il fit giusto per far crescere ulteriormente la squadra, in quanto destinato a togliere minuti a Thompson e Barnes, rischiando di bloccarne l’esplosione, e inoltre troppo piccolo per giocare stabilmente da 3 in un quintetto a 4 piccoli con Barnes da 4. A freddo invece la cosa mi ha convinto di più. Con eccesso di ottimismo diamo tutti per scontato che Thompson (3° anno) e Barnes (2° anno) possano essere stabilmente quelli eccezionali visti per una manciata di partite negli scorsi PO. Anzi, che quello possa essere il punto di partenza su cui crescere. Può darsi, ma trattandosi di giocatori molto giovani, non sarebbero strane delle regressioni. Avere quindi un giocatore veterano e affidabile in grado di sostituirli entrambi alla bisogna non è male. Iguodala inoltre in questi Warriors si colloca nel suo contesto ideale, ovvero non è nè la prima nè la seconda opzione, in attacco può fare il facilitatore, o vivere sui rimbalzi e i tagli, ovvero quello che fa meglio. Tra l’altro probabilmente senza un sensibile calo nelle statistiche, visti l’alto numero di possessi e i punteggi a tre cifre a cui sono abituati sulla baia. E dare il meglio in difesa, dove ancora oggi è uno dei primi 3 difensori sugli esterni di tutta la lega. Può anche giocare in parte da playmaker, togliendo l’incombenza a Curry, che sarebbe così più libero di concentrarsi sugli aspetti realizzativi. Infine, ciliegina sulla torta che non guasta mai, è un professionista serio e con una personalità poco ingombrante, quindi sembra potersi innestare senza problemi nel gruppo dei “bravi ragazzi” del predicatore Jackson.
Insomma, se le caviglie tengono, questa sarà la squadra più cool della lega; niente titolo quest’anno e, visto che i margini di crescita sono probabilmente modesti, niente nemmeno in futuro, ma sicuramente tanto bel basket da vedere.
Peccato solo che non ce lo commenti Buffa.
Vae Victis