Con il draft dell’altra notte si chiude definitivamente la stagione NBA 2012-2013. Ora parte l’estate, che si preannuncia ricca di scambi di giocatori (il valzer degli allenatori è iniziato da un pezzo, e siamo ormai abbastanza vicini alla conclusione) e di scelte più o meno complesse per molte squadre.
Anche NMTPG va in vacanza, e con questo pezzo chiudo ufficialmente la stagione, lasciandoci con il ricordo dei momenti migliori/peggiori dell’anno trascorso tra i Pro. Lo so, vi domandate come farete senza questa rubrica a indicarvi la strada, ma ormai siete grandi, so che potete farcela…
James + Wade + Bosh: continua ad avere senso?
Se il tiro di Allen in gara 6 fosse andato fuori, probabilmente oggi Bosh sarebbe già in marcia verso un altra squadra. Ma gli Heat hanno vinto la serie, e questo gli garantisce di conservare unito il nucleo di base almeno per un altro anno. La mia opinione su Bosh l’ho già spiegata dettagliatamente qui, ma in sintesi: complimenti per come ha avuto la volontà e la capacità di snaturare completamente il suo carattere e modo di giocare, gli fa onore, ma rimane per me oscuro perchè il management abbia voluto prendere un giocatore così diverso da quello che realmente gli serviva, salvo poi scommettere sulla sua capacità di riconversione…
Vorrei invece spezzare una lancia a favore della convivenza (difficile, come ho già fatto notare) tra James e Wade. Guardando la serie finale, e in maniera macroscopica gara 6, verrebbe da crocifiggere Spoelstra, reo di aver voluto rimettere in campo Wade nei finali, quando la squadra stava giocando al suo meglio senza, con James, il lungo e i 3 tiratori. La prova di questa bestialità tecnica starebbe nel fatto che al rientrare di 3 (come vuole essere chiamato oggi Wade, dopo il terzo titolo e probabilmente la terza bottiglia di spumante…) la squadra andava sistematicamente sotto, il ritmo scendeva, LeBron si incartava e appunto in gara 6 si è rischiata la frittata. Verrebbe da dire: ma perchè Spo’ non ha lasciato Wade in panca fino alla fine, visto il buon momento dei suoi? E a questo punto, perchè dare 17 milioni di dollari a Wade, se la squadra gioca meglio senza di lui? Con il suo salario si potevano prendere (forse anche tutti insieme) un Korver, un Belinelli, un Danny Green, un Kirilenko …
Credo che non sia così semplice. L’efficacia del quintetto di tiratori e il suo influsso benefico sul gioco di James sono evidenti. Una cosa però è giocare a quel modo per 5-10 minuti, magari accoppiato con l’innalzamento dell’aggressività difensiva, e mettere un parziale furioso. Un’altra è giocare a quel modo per 48 minuti e per 100 e passa partite l’anno (includendo la post season). Può sembrare banale, ma la Cleveland di James non era molto lontana da questa filosofia. E tutti abbiamo visto quanto abbia vinto. La verità è che nei PO è indispensabile la varietà, la possibilità di percorrere (quando serve) strade diverse. Quando i tiratori non la mettono, quando LeBron non è in serata, quando la difesa affersaria è particolarmente ispirata, avere un’altra stella con la personalità, l’esperienza e il talento di provare qualcosa di diverso è la differenza fra vincere o perdere l’anello. LBJ è il motore e il factotum degli Heat, il giocatore più decisivo, quello che ha fatto vincere le partite. Ma in questi 2 anni ai PO ci sono stati 6-7 momenti in cui Wade è salito di livello e ha vinto le partite da solo. Proprio in quei momenti in cui James non ce la faceva. Proprio in quei momenti in cui senza una W si andava a casa. Quindi, pur con un Wade ai minimi storici, Spoelstra non può pensare di fare a meno di lui. E quindi deve farlo rientrare nel finale, anche se sa che avrà un impatto negativo. Perchè non può rischiare di rompere gli equilibri interni (piuttosto deboli, direi); non può rischiare che Wade perda fiducia, o che i compagni perdano fiducia in lui, e Flash non possa rispondere presente nel prossimo momento del bisogno. Fossimo stati a SanAntonio si sarebbe potuto fare: è successo anche in questi PO, mi sembra contro Golden State, che Duncan sia stato tenuto fuori nel finale di una partita, così come per Parker nella penultima azione di gara 7. Ma in quel contesto, l’unico nell’NBA (forse si potrebbe includere Chicago), la frase “la squadra vale più del singolo” non è solo retorica. A Miami semplicemente non sarebbe praticabile. Quindi giusto che Spo’ l’abbia fatto rientrare, e complimenti alle stelle di Miami per la capacità di far funzionare qualcosa che non è così scontato debba funzionare.
Nuovi eroi crescono
Steph Curry: IDOLO! Semplicemente ho trovato il mio nuovo giocatore preferito. Colossale, talento incredibile, fantasia al potere, ma anche capacità di sacrificarsi e giocare sull’infortunio, burattinaio delle emozioni dei compagni, leader naturale, spettacolare da vedere. Avesse le caviglie di un 60enne (invece che quelle di un 90enne) e avesse un qualche interesse per gli aspetti difensivi del gioco, parleremmo dell’MVP. Alla fine la difesa di SanAntonio ha dovuto adeguarsi e stravolgersi di più per contenere lui su una gamba sola che per difendere su LeBron.
Kawhi Leonard: è nata una stella. Ne abbiamo parlato settimana scorsa, a 21 anni è uno dei primi 3 difensori sugli esterni della lega, ha un tiro da 3 decoroso, va bene in contropiede e il QI cestistico è molto alto. Se impara un minimo di costruzione del gioco per i compagni, entro 3 anni è un secondo violino di una squadra da titolo.
Marco Belinelli: la voglia vince. L’immagine del gesto che gli è costato 15.ooo $ di multa descrive a pieno la sua stagione. Aveva tutto contro, compreso il buon senso. Ma aveva più voglia di tutti, ed è diventato decisivo a livello di PO NBA. Nell’estate firmerà un contratto importante, di cui si è meritato ogni singolo Cent.
Jeff Green: c’è vita dopo i big Three. Completamente recuperato dagli infortuni e dal problema al cuore, non è tornato forte come prima, ma molto di più. Al momento è una terza punta di livello assoluto, se come sembra Boston si libererà di Pierce e Garnett (Sigh!) potrebbe anche evolvere in qualcosa di più.
Paul George: fortuna nella disgrazia. Si rompe 2 volte nella stessa stagione Danny Granger, ovvero il più scarso franchise player della storia, e questo apre spazio per Paul George, che lo usa come meglio non potrebbe, diventando un All Star e portando i suoi fino in finale di Conference. I lati del campo sono 2, e lui lo sa bene.
Carmelo Anthony: finalmente! Non si è vinto, ma sinceramente nulla può essere attribuito al prodotto di NY. In questa stagione ha dimostrato di essere maturato, di aver imparato a giocare con e per i compagni, di essere disposto a impegnarsi, a imparare, perfino a difendere. Credo che l’immagine di lui che si lancia sulle palle perse, o che mette il corpo a prendere botte sotto canestro gentilmente offerte da gente ben più grande di lui sia il miglior esempio di un ragazzo che è finalmente diventato uomo, ed è in grado di sfruttare un talento che lo colloca al Top della Lega (vogliamo dire immediatamente dopo LBJ e Durant?).
La prestazione dell’anno
Titolo che va di dovere al piccolo Nate Robinson, che in gara 4 dei PO contro Brooklin ci regala la miglior singola prestazione in una partita che io ricordi. Inutile descriverla, per chi non l’avesse vista se la cerchi. Una partita persa, che un folle ha trasformato in un successo dopo 3 supplementari, passando per una serie di giocate senza senso, in cui la palla veniva spinta nel canestro non con le mani, ma con un cuore che non poteva essere contenuto in quei 165cm di muscoli e sregolatezza.
All Injured Team
Per l’est: Derrick Rose, Rajon Rondo, Joakim Noah, Andrew Bynum, Danny Granger
Per l’ovest: Russel Westbrook, Kobe Bryant, Kevin Love, Danilo Gallinari e come quinto un mix tra Bogut (che non ha giocato la RS) e David Lee (che non ha giocato i PO).
Diciamo che gli infortuni hanno pesato su questa stagione come mai prima, visto il livello degli assenti, le squadre in cui giocavano (ovvero molte contender) e il momento in cui si sono verificati (soprattutto a ridosso dei PO). Delle 16 squadre che hanno partecipato ai PO, sono andate in finale le due più forti, ma onestamente anche quelle che hanno meno patito infortuni. Le partite sono troppe, e troppo ravvicinate, e questo è un fatto. La velocità di esecuzione è in continua salita. Gli esterni sono sempre più grossi fisicamente, e quindi la violenza delle botte che danno e prendono è molto superiore al passato. E i lunghi sono sempre più atletici, giocano fuori e vanno in penetrazione, costringendo fisici da 210 cm a muoversi con scatti e salti per i quali non possono essere adatti. Una grossa componente dell’infortunio è la sfortuna, e su quella purtroppo non c’è niente da fare. Però credo che l’ipotesi di togliere una decina di partite di RS non sarebbe male. Sono meno introiti, salari più bassi, etc. Ma poter giocare 2-3 partite in meno al mese probabilmente permetterebbe un minor affaticamento e minori infortuni. L’alternativa è lasciare la palla ai giocatori, che si ammistrano e ci somministrano partite di RS inguardabili, o agli allenatori, che poi si fanno prendere la mano come Popovich, che sceglie di non schierare i suoi titolari nelle partite che non ha interesse a vincere, per preservarli. L’NBA l’ha multato sperando che gli altri non lo prendano ad esempio, ma io non ci conterei troppo.
Il più grande spettacolo dopo il bigbang: i PlayOffs
Sinceramente quest’anno non ci si può lamentare. Al primo turno le 7 gare di CHI-BKN, impreziosite dalla citata gara 4 di Nate the Great e dalle gare 6 e 7 di Belinelli. O la sfida tra Memphis e LA Clips, partita con 2 a 0 LA, per finire 4 a 2 per gli Orsi. E l’upset dei GSW, che condannano in 6 gare una Denver che ha smarrito le sue certezze (come testimoniano anche le scelte di pulizia etnica applicate in maniera forse un po’ drastica e superficiale su GM, assistente GM e Headcoach). O il ritorno ai PO di Houston, con il loro nuovo leader con barba incorporata e una batteria di giovani niente male. Al secondo turno una grandissima serie tra gli Spurs e i Warriors, la consacrazione di Steph Curry, a cui fa da contraltare un Tony Parker più maturo ed MVP che mai. Per non dimenticare i record realizzativi e le prove di solidità di Thompson e dell’impronosticabile Barnes. Tra Memphis e OKC si consuma invece il dramma di squadra dei Thunder, attesi in finale e costretti a fermarsi per la mancanza di Westbrook. Memphis passa dimostrando maturità e completezza, ma Durant gioca una serie oltre i limiti delle possibilità umane. Solo contro 5 (e che 5!), ne mette 30 a partita con più del 50% dal campo, mentre costruisce gioco per i compagni senza perdere la palla. Pare abbia anche venduto i popcorn nell’intervallo, ma non c’è la prova video. Nell’altra conference, dei Bulls senza nessuna speranza tecnica hanno fatto finta in maniera egregia che potesse esserci una serie fra i loro resti e la squadra più forte della lega.
In Finale di Conference abbiamo avuto a ovest una serie senza grosse tensioni per i risultati (purtroppo), ma giocata e allenata a un livello tecnico altissimo da entrambe le squadre, mentre ad est si sono picchiati come fabbri, il livello di gioco non è stato indimenticabile, ma si è lottato per ogni centrimetro che sembrava di essere sul set di Ogni Maledetta Domenica.
Delle Finals si è già detto tutto, una partenza un pò balbettante, ma poi si è più che recuperato, con una finale tesa, combattuta, ben giocata, ben allenata, con stelle luminose e difese organizzatissime, culminate in una spettacolare gara 6 e una imprevedibile gara 7.
Che dire se non: “grazie mamma NBA, dacci ancora tante stagioni così”?
Come detto, con quest’ultimo sproloquio termina la stagione di NMTPG. Potrebbe esserci ancora uno specialino – Trade Estive, nel caso i GM vecchi e nuovi si dimostrino particolarmente fantasiosi nel mese di luglio e ridisegnino in maniera pesante la faccia della lega per il prossimo anno.
Nel frattempo, grazie a tutti quelli che ci hanno seguito ogni venerdì in questa avventura e, come sempre…
Vae Victis