
Luca Bechi confermato per la stagione 2013/2014 (foto by Francesco Malpensi https://www.facebook.com/FrancescoMalpensiPhotography)
BOLOGNA – 20 sconfitte. Peggior dato di sempre. 33% di vittorie conquistate. Peggior dato di sempre. Penultimo posto (in coabitazione con Pesaro) in classifica. Peggior piazzamento di sempre. Tre dati che bastano e avanzano per parlare della stagione da incubo della Virtus Bologna. Una stagione dove è successo più o meno di tutto. Americani in fuga (prima Minard, poi Hasbrouck), lodi Fiba (con lo stesso Hasbrouck riportato alla “base”, in quanto la sua fuga avveniva in violazione di un contratto), infortuni, cambi in panchina (via Finelli dopo 20 partite, dentro Bechi) e un’ultima serie di gare giocate con una simil juniores, raccontando che questo era il prossimo futuro dei colori bianconeri. Il tutto mentre si festeggiano i 15 anni dal “tiro da 4” di Sasha Danilovic. Sotto le Due Torri il cielo è grigio non solo fisicamente (vista la malaparata meteorologica), ma anche metaforicamente.
E proprio il finale di stagione è stato il momento più assurdo di una stagione molto più che assurda. Con la vittoria su Reggio Emilia alla ottava giornata del girone di ritorno arrivava la conquista (??) della salvezza virtuale, e così partiva un circo durato per le ultime sette gare di campionato: fuori tutti gli americani, eccezion fatta per Jacob Pullen, ultimo arrivato quando ormai anche la salvezza non pareva più dato così scontato, dentro i bimbi delle giovanili. Largo a Fontecchio, Landi, Parzenski, ulteriori minuti a Imbrò, il tutto in una serie di partite che, in realtà, interessavano quasi zero a tutti. Così che ci si è potuti concentrare bene sull’extra campo. Con il vulcanico patron (sotto mentite spoglie di AD) Claudio Sabatini che, dopo un lungo periodo di inattività, ha iniziato a borbottare per poi, infine, eruttare con forza. Alle minacce di contestazione aperta di una parte del tifo ha risposto con le dimissioni, non prima però di aver fatto sana bagarre con Caserta per intascarsi il premio di valorizzazione italiani (200 e rotti mila euro). Con tanto di addetto ai minutaggi, tablet munito, a bordo campo a monitorare live la presenza in campo di italiani per i campani e indirizzare, così, le scelte di coach Bechi.
Dicevamo delle dimissioni. Già le dimissioni. Annunciate ormai da anni e arrivate con una “conferenza stampa” che sapeva più di celebrazione personale in presenza di 3/4/5 giornalisti conniventi. Le fantomatiche dimissioni che si sono trasformate, in realtà, in un “rimango comunque tra i soci, ma cedo la presidenza a Renato Villalta”: quasi a voler dire di cambiare tutto per non cambiare niente. Dunque in sella il tanto amato Villalta, fuori dai giochi il GM Faraoni, caccia aperta ad Arrigoni di Cantù (che non si capisce quale interesse potrebbe avere a lasciare la Brianza per tuffarsi in questa situazione) ma con tutta la città che ha ben presente chi continuerà a muovere i fili da dietro le quinte.

Jacob Pullen ha sfruttato al meglio il finale di stagione per mettersi in mostra (foto by Francesco Malpensi @https://www.facebook.com/FrancescoMalpensiPhotography)
Ma tornando al basket, se di basket si può parlare, è dovuto fare qualche considerazione su quello che il 2012/2013 ha portato in dote ai tifosi bianconeri. Una squadra che al pronti-via aveva anche illuso con tre vittorie consecutive, per poi sciogliersi come neve al sole e inanellare anche 8 sconfitte consecutive, 11 in un arco di 12 gare. Fallite miseramente le scommesse sugli americani, che, per onestà, in estate sembravano quanto meno comprensibili. Steven Smith arrivava dal Panathinaikos, Minard aveva parecchia esperienza del campionato italico, mentre Kenny Hasbrouck era un esordiente che però aveva già imparato a conoscere l’Europa. E’ finita con uno Smith che non si è mai inserito nel gioco della squadra, Minard che ha alternato partite incredibili (35 punti con 10/12 da tre contro Biella, ad esempio) a prestazioni da spettatore non pagante e Hasbrouck persosi pure lui dopo un inizio confortante. E logica vuole che se nessuno dei tuoi tre americani funziona a dovere difficilmente la squadra possa fare molta strada. Poeta e Gigli, le bandiere, hanno fatto il possibile e non gli si può rinfacciare granché, anche per via di continui problemi fisici per entrambi. Mason Rocca ha mostrato gli inevitabili segni del tempo, mentre la banda dei giovanotti Imbrò – Gaddefors – Moraschini non poteva certo tirare da sola il carro e ha provato a limitare i danni. Qualche lampo l’ha mostrato Jacob Pullen nel finale di stagione, viaggiando attorno ai 20 di media e sfruttando al meglio il clima da vacanze anticipate che si era creato per far bottino. Niente di che l’arrivo di mezza stagione Danilo Andjusic, che però è un ’94 e può essere aspettato. Belle cose mostrate da Fontecchio, che nel giro di qualche anno potrebbe essere materiale interessante. Da rivedere (magari dopo un po’ di sana esperienza una categoria più in basso) Landi. Da non rivedere Parzenski.
Si ripartirà da Luca Bechi, se non altro per aver sopportato il supplizio degli ultimi due mesi con grande dignità, dalla coppia di playmaker Poeta – Imbrò, forse, ma ci sono dei dubbi, da Gigli, possibilità anche per Pullen. Con contratto Andjusic e Gaddefors. E poi bisognerà indovinare i giocatori da mettere attorno. Ma questo è un discorso ancora molto lontano. Prima bisogna capire quali uomini si muoveranno sul mercato e il budget. Per ridare un minimo di dignità a un ambiente ormai logoro.
Nicolò Fiumi