Usciamo un attimo dalla fredda analisi tecnica. Del resto, se non foste disposti a farlo, non sareste ancora qui…
Volevo condividere con voi i nomi delle squadre per cui ho fatto un tifo sfegatato, o anche solo simpatizzato, regalando a queste franchige pronostici favorevoli non ostante il buon senso (del resto, pronostocare che vinca sempre e solo la squadra più forte non è molto difficile!).
Partiamo dal primo turno: Boston Celtics. Ok, no Rondo, no Sullinger, gerontocomio al potere, ma in fondo dall’altra parte c’erano pur sempre i Knicks, e l’abbiamo visto quanto valessero…
2 a 4 e tutti a casa.
Secondo turno: Warriors. Dai, ammettetelo che non sono stato il solo a farsi conquistare dall’onda gialla (che detta così, non suone nemmeno tanto bene). Curry meraviglioso, sogni distribuiti come confetti a un matrimonio, ma poi SanAntonio, e soprattutto Sant’Antonio (Parker) decidono che debba finire diversamente. Ancora 2 a 4.
Terzo turno: consapevole che tifare sempre per una squadra palesemente inferiore può portare a esiti indesiderati, vado con Memphis; magari non è la top del ranking di tutti gli analisti, ma credo nessuno possa negare che ha fatto una gran stagione e dei clamorosi PO. Ecco, appunto. Uno sweep che neanchè l’AMSA dopo che hanno fatto il mercato…
Giusto ieri mi è arrivata una diffida dagli Heat, quando hanno saputo che, in mancanza di ogni alternativa e dato l’odio atavico verso gli Spurs, stavano diventando i miei favoriti…
Ecco, dopo questo momento di tristezza possiamo andare ad analizzare le due serie di finale di Conference.
SAS – MEM: 4 – 0
Gli Spurs sono pronti. Due anni fa hanno iniziato una lenta metamorfosi, con Parker a diventare il leader dei big three, e la ricerca continua e metodica di un nuovo gruppo di comprimari da affiancare al nucleo storico. Qualche tentativo naufragato, e poi finalmente si trovano i giocatori giusti: Splitter, Leonard e Green. L’anno scorso è stato un disastro. Si sono suturati sul corpo di un rinoceronte le gambe di una gazzella, e l’organismo ha rigettato le membra estranee. Ma dando il tempo giusto per gli adattamenti, quest’anno questa specie di squadra Frankenstein magicamente ha iniziato a funzionare, e i segni delle cuciture non si vedono quasi più. Certo, Duncan continua a sembrare l’MVP del torneo, e Duncan ha vinto quasi da solo i due supplementari, quindi sotto i riflettori restano ancora oggi i big three. Ma l’apporto complessivo dei 3 nuovi arrivi è tanto fondamentale quanto poco appariscente. Questa clamorosa fila di congiunture astrali (compresa anche la nuova linfa delle ginocchia del caraibico, grazie alle misteriose macchinazioni dei dottori d’oltre mare) va a sommarsi ad un implosione drammatica dei Grizzlies. Memphis non è mai stata una squadra perfetta, ma è sempre stata brava a far apparire questi difetti meno importanti. SanAntonio invece è bravissima nel fare emergere i difetti strutturali delle altre squadre. Ed ecco che appare palese l’impossibilità di coesistenza di Prince e Allen, due mastini difensivi di prima fascia, ma incapaci di produrre attacco quando si trovano a più di 2 metri dal ferro. E se i tiratori da fuori non sono pericolosi, la difesa può permettersi di collassare in area e rendere la vita impossibile ai lunghi di Memphis. A questo si aggiunga la marcatura da davanti riservata a Z-Bo, che ha evidenziato la pochezza come passatori degli esterni dei Grizzlies. Un Randolph in condizioni fisiche non ottimali, e con motivazioni calanti, hanno fatto il resto, rendendo la serie impraticabile. Viene da pensare a cosa sarebbe stato se Memphis non avesse scelto di giocare al risparmio a febbraio: nessuno (o comunque non io) sostiene che Rudy Gay sia un vincente o il perfetto go to guy che ti cambia una serie. Però è innagabile che le libertà che gli Spurs hanno scelto di lasciare a Allen e Prince non avrebbero potuto lasciarle a Gay; e Memphis non avrebbe nemmeno pagato dazio nella propria metà campo, dato che Leonard e Green sono buoni attacanti di sistema, ma di certo non 2 realizzatori tali da richiedere specialisti difensivi dedicati a loro. E non è solo Gay a essere mancato; Speights come cambio d’esperienza per i lunghi avrebbe giovato (abbiamo dovuto vedere minuti perfino di Leuer), ma soprattutto sarebbe servito Ellington, discreto tiratore da tre, che si era fatto apprezzare nella prima parte di stagione segnando sugli scarichi e aprendo la scatola: visti i danni che il modesto Pondexter è riuscito a fare alla difesa Spurs, probabilmente Ellington avrebbe fatto comodo. E invece, per evidente disperazione e mancanza di alternative, Memphis è stata costretta a ricorrere in quantità a Bayless, giocarore di energia accettabile (e perfino discreto) se gli chiedi 15 minuti di attacco in solitaria per cambiare il ritmo, del tutto inaccettabile se deve darti 25-30 minuti e gestire RAGIONANDO i palloni chiave di una partita. E non ostante tutto questo, vale la pena evidenziare che il 4 a 0 finale è ampiamente menzoniero: escludendo la quarta partita, in cui i Grizzlies si sono presentati dichiaratamente con le braghe calate perchè la serie era già finita, due delle altre 3 sono finite al supplementare, e con una o due vittorie dei Grizzlies avremmo avuto una serie diversa. Probabilmente SanAntonio, che quest’anno è praticamente perfetta, avrebbe vinto lo stesso, ma il 4 a 2 o a 3 sarebbe stato assolutamente congruo. Ora invece si apre un’estate di decisioni in Tennessee, visto che questo gruppo, almeno così come lo abbiamo conosciuto fin qui, è finito in gara 4. Hollins sta sondando il mercato; è chiaramente uno dei migliori allenatori disponibili, ma è in lotta da un anno con la dirigenza per divergenze tecniche, il suo contratto è scaduto e soprattutto penso che abbia la sensazione di aver già tirato fuori da questa squadra il massimo possibile. D’altra parte c’è mezza NBA che farebbe di tutto per assicurarsi i suoi servigi, quindi alla fine è facile che si lasci tentare dai soldi e da una nuova sfida, e che la dirigenza degli orsi, stupidamente, non faccia niente per provare a trattenerlo. Tony Allen è anche lui senza contratto, ha dimostrato di non essere un buon fit a fianco a Prince (che invece è ancora a libri), e dopo una stagione comunque positiva potrebbe andare a cercare apprezzamento e soldi in altro contesto tecnico. Detto di questo, e del fatto che una squadra fatta con Conley, Gasol, Randolph, Prince e sostanzialmente nient’altro non sembra da titolo, ai Grizzlies non rimane che una strada, visto che il cap è pieno e oltre loro non ci vanno: provare a scambiare Z-Bo, e ripartire sull’asse Conley – Gasol, sperando di trovare una terza punta di livello. TANTI – CARI – AUGURI.
MIA – IND: 2 – 2
Serie fisica, combattuta, in certi momenti perfino (inaspettatamente!) bella. Indiana si è rivelata molto più dura mentalmente di quanto si potesse pensare (anche sulla base di quanto aveva fatto vedere in passato). Hibbert ha finalmente iniziato a raffreddare la sedia di Walsh confermando di meritarsi ogni penny del lauto contratto lucrato nell’estate. Buono in difesa, tanto che la percentuale avversaria nei tiri in area quando lui è in campo scende sotto il 35%, ma soprattutto buono in attacco, ambito dove non aveva proprio sfolgorato in RS. Quando i suoi riescono a servirlo con posizione profonda, è sostanzialmente impossibile per qualsiasi lungo degli Heat impedirgli di mettere la palla nel cesto, grazie a movimenti molto lenti ma decisamente tecnici e competenti, soprattutto semiganci. West si conferma giocatore sublime, anche sopra le aspettative: segna dal post con continuità, sfruttando il notevole bagaglio tecnico e i centimetri di vantaggio sui difensori rossoneri. Ma soprattutto è enciclopedico in difesa, riuscendo a neutralizzare la miglior arma offensiva di Miami (eccezion fatta per il Re, ovviamente), ovvero il quintetto a 4 piccoli, con Battie che allarga il campo giocando fuori dall’arco: West, pur essendo un difensore individuale solo sufficiente, riesce però ad essere molto efficace grazie al perfetto inserimento nella difesa di squadra; esce senza apparenti problemi a coprire il tiro da fuori, essendo però sempre pronto a rotazioni, aiuti e recuperi, scambi con gli esterni, per far sì che i Pacers non paghino dazio col tiro da fuori, pur continuando a coprire bene il pitturato. Quindi West riesce a non andare sotto in difesa, e essere dominante in attacco: questo fa sì che il quintetto con Battie da 4, che per esempio ha massacrato OKC nelle scorse finali, non sia efficace contro i Pacers, che sono infatti stati costretti a reintrodurre un minutaggio importante per Haslem. Infine c’è il caso Stephenson: arrivato più o meno dal nulla, da anni si fa chiamare Born Ready, ma l’anno scorso tutto sembrava fuorchè pronto a giocare nell’NBA. Oggi invece, pur confermandosi una testa non pensante e una mina sempre pronta ad esplodere, la novità è che a volte può esplodere contro gli avversari, invece che solo in faccia ai compagni. Sta attaccando il ferro con ferocia, concludendo spesso con circus shot che nemmeno il miglior Nate Robinson, anche quando marcato da LeBron. A questa ricerca aggressiva del ferro alterna ovviamente tiri da fuori senza senso e passaggi, a volte illuminanti, a volte vaccate pazzesche. Nel complesso comunque i Pacers portano via da questi PO la consapevolezza che hanno a roster una guardia da quintetto NBA, sicuramente con svariati difetti, ma anche notevoli pregi. E la sua sregolatezza, inserita in un contesto molto quadrato e regolamentato del resto della squadra, può essere un’aggiunta importante.
Lato Miami non ci sono grosse novità: Wade vivacchia, gestendo al meglio possibile un fisico non al meglio, Bosh è decisamente in crescita, avendo ormai abbracciato completamente il ruolo di esterno: con un tiro da 3 sempre più affidabile, si apposta fuori e libera l’area, lasciando spazio di manovra a James e Wade. Chalmers, dopo un periodo di notevole appannamento, sembra essersi riavuto e si sta riprendendo i minuti che gli stava rubando Cole. Malissimo Battie, tira male, non può tenere West in difesa, mentre minutaggio, punti, percentuali di tiro sono in picchiata. L’impressione alla fine è che valga la regola di gara 3, ovvero: LeBron è il più forte di tutti, e quando decide che una partita è da vincere, va e se la prende, senza che esista forza competente per impedirglielo. In quelle serate anche i compagni sono più efficaci: un po’ perchè seguono il suo esempio, un po’ perchè quando lui è così aggressivo si aprono per i compagni più spazi del solito, un po’ probabilmente perchè non hanno il coraggio di deluderlo quando fa la faccia così scura. In ogni caso, quando LeBron battezza la partita come “da vincere”, Indiana non lo può impedire. Questo tipo di approccio però è tanto più efficace quanto eccezionale (nel senso che è un’eccezione): James non potrebbe approcciare così ogni partita, o il livello di stress emotivo distruggerebbe la squadra; questo è il motivo per cui Miami entra in partita con effort medio, e con questo a volte vince e a volte perde. Con la consapevolezza però che se la situazione diventa critica, possono sempre giocarsi la partita della “faccia scura”. Per questo motivo, pur essendo stati costretti a fare più fatica del previsto, restano i favoriti per le Finals.
Ehi, LeBron, dove hai messo quelle mani?
A settimana prossima, per iniziare l’avventura delle NBA Finals!
Vae Victis