Settimana scorsa abbiamo già commentato le situazioni di Thunder, Bulls e in parte anche Warriors, ovvero le escluse del secondo turno. Concludiamo il discorso spendendo due parole sui Knicks, prima di iniziare a guardare alle finali di conference.
Mela Amara (o Amare?…)
NY esce dai PO, dopo essersi issata al secondo turno provenendo da una siccità di oltre 10 anni. Tutti hanno scritto che ha vinto la squadra più forte, e che Indiana ha legittimato in questa serie il suo status di corazzata dell’Est.
Personalmente non sono molto d’accordo su queste due cose. Indiana è una buona squadra, con una discreta (ma non eccezionale) dote di talento distribuita in maniera quasi paritaria tra i suoi starters, mentre in panchina non c’è praticamente niente (se non vogliamo definire eccitanti delle riserve i cui elementi di spicco sono DJ Augustin e Psico Hansbrough). Nella serie contro NY nessuno degli starter ha trovato particolare continuità, e per ognuna delle 4 W i Pacers hanno dovuto aspettare che uno di loro salisse di colpi. Senza però poter sapere prima se ci sarebbe stato, nè tanto meno chi. Praticamente la stessa situazione di Denver (ovviamente con la differenza che questi sono forti in difesa di squadra, quelli in attacco di squadra), ma con meno talento complessivo. Non per niente hanno lasciato 2 partite a dei non meritevolissimi Knicks, dopo averne regalate due anche a degli imbarazzanti Hawks.
E di una situazione così, io sinceramente non mi fiderei ai massimi livelli. Contro una squadra con questo tipo di limiti, credo che la NY di inizio anno avrebbe potuto vincere. Chi segue questa rubrica da un po’ sa che non sono tra quelli che ritengono che un buon attacco (specie se basato in percentuale importante sul tiro da fuori) vinca i titoli, quelli li vince un ottima difesa accoppiata ad un attacco decoroso e con una stella in grado di vincere quando sei sul filo. Però, appunto, per Indiana poteva essere sufficiente. E invece abbiamo visto tanto Melo, a cui finalmente non si può rimproverare quasi nulla dopo l’ennesima sconfitta nei PO. Ha dato tutto quello che aveva, non ostante un infortunio alla spalla e una difesa sontuosa di George e di tutti i Pacers in aiuto. Certo, ha tirato malissimo e spesso non ha coinvolto i compagni, ma l’impressione è che il suo ossessivo mettersi in proprio sia stata più una reazione all’astensionismo dei compagni che una sua scelta. E in questo contesto ha vinto da solo 2 partite, e ha rischiato di vincere anche gara 6. Può uscire a testa alta, insieme forse al solo Felton, che è stato se stesso (ovvero un play e attaccante ordinato e onesto, che porta il suo contributo, pur senza poter essere un campione per evidenti limiti fisici e di talento). Male Chandler, troppo solo in difesa, e alla fine forse anche troppo demotivato e rinunciatario. Male JR Smith, che dopo un anno da perfetto sesto uomo è tornato l’incostante giocatore di sempre. Il fatto che questo sia coinciso anche con l’abbandono della “clausura” e del ritorno ai festini delle notti della grande mela mi sembra evidente, ma forse il rapporto causa/effetto va ribaltato: non credo che fosse stanco per aver “festeggiato” e QUINDI abbia giocato male; credo piuttosto che (vai tu a capire perchè, in quella testaccia tatuata!) l’equilibrio nella sua testa si sia rotto, e QUINDI abbia ripreso ad andare ai festini e a giocare male. Male Woodson, ma di questo ho già detto e credo sia sotto gli occhi di tutti. E soprattutto male Kidd. Non a caso, con lui al centro di ogni azione dei Knicks si vincevano partite a mazzi, mentre con lui che non l’ha messa nelle ultime 4000 partite e ha giocato 15 minuti a gara l’attacco dei Knicks sembrava quello dei Kings, ma con meno capacità di lettura. Indiana (e prima di loro Boston) ha un’ottima difesa, il basket dei PO non è quello della RS, Woodson è un incapace: tutto vero, ma questo può giustificare un peggioramente delle prestazioni, non un crollo verticale.
Iniziamo adesso a fare due considerazioni sulle due finali di conference, e la prima prima è che, bene la small ball, i 3 che giocano da 4 per aprire il campo, i 7 seconds or less, però guarda caso in finale di 4 squadre rimaste 3 giocano con 2 lunghi belli grossi e riducono il numero dei possessi oltre il limite della noia. E la quarta, Miami, che pura gioca spesso a 4 piccoli, ha il quarto piccolino, tale LeBron, che se è vero che palleggia e passa come un play, è anche vero che a fare a sportellate con Randolph o Duncan non è proprio sicuro che vada sotto dal lato fisico. E anche riguardo al tiro da 3, che sembra diventato l’unico modo possibile di attaccare il canestro, l’unica che non ne fa un uso omeopatico è SanAntonio, i cui numerosi tentativi dall’arco nascono però in maniera abbastanza atipica: non un P&R e poi tiro sullo scarico, ma una palla che va dentro e fuori più volte, tra P&R, penetra e scarica, tagli, post basso, e POI finisce fuori da 3 (normalmente sugli angoli e dopo un extra pass) per la tripla.
Diciamo quindi che, se è vero e logico che il basket si muova sempre più in un altra direzione, oggi per vincere ci sono ancora alcune tendenze evergreen che c’erano già negli anni 80.
SAS – MEM: 3 – 4.
Lo so, sono destinato a sbagliarlo, così come già fatto per SAS – GSW. Ma d’altro canto, a scommettere sempre sul più forte (e in questo caso pure in vantaggio 2 a 0) non c’è un grande divertimento.
Cosa dire: SanAntonio ha giocato così bene che meglio non si può: ottima difesa sui lunghi avversari, Green e Leonard attivi, in parte, e ormai completamente organici alla squadra, Duncan perfetto su due lati di campo (e pure decisivo nell’OT, per non farsi mancare niente), e Bonner che segna a ripetizione, un attacco che prende solo ottimi tiri, e soprattutto un Tony Parker che è semplicemente l’MVP dei PO. Un appannamento in gara 6 contro GSW (partita comunque vinta con 2 sue triple nel finale) sembrava denunciare affaticamento e forse addirittura un infortunio serio. Poi le prime due gare contro Memphis hanno fugato ogni dubbio in proposito. “Dominante” non rende l’idea.
A fronte di questo abbiamo visto i peggiori Grizzlies dei PO, insicuri in difesa, confusi in attacco, una volta venute meno le loro certezze. Tirando meno del 30% dal campo è difficile vincere. Eppure in gara 2 i migliori Spurs possibili hanno battuto solo di misura (e in OT) dei pessimi Grizzlies.
Cosa può fare SanAntonio più di così? Forse avere un contributo maggiore di Ginobili, e sperare che i tiri da fuori continuino ad entrare; certo, sono ottimi tiri, ma il tiro da fuori a volte semplicemente non entra (vedere il finale di gara 2, o le 2 triple entrate e uscite per GS nel finale di gara 6 del turno precedente). Viceversa Memphis può sperare in due cose.
La prima è che, riassaporata l’aria di casa, Allen e Prince facciano la pace col canestro: troppo battezzabili da fuori, gli Spurs potevano collassare sui lunghi senza mai pagare dazio; soprattutto Allen non è certo un cecchino, ma in casa potrebbe fare meglio che in Texas. Credo sia però necessario che Hollins alteri un po’ la sua rotazione: pur senza toccare lo starting five, per evitare rottura dell’ottima chimica creata e della fiducia dei giocatori, è evidente che Memphis non si può permettere di avere in campo insieme troppo a lungo Allen e Prince: o Bayless o Poindexter devono necessariamente alternarsi con uno dei due, per dare qualche alternativa offensiva credibile. A maggior ragione tenendo conto del fatto che alle posizioni 2 e 3 gli Spurs hanno Leonard e Green, due ottimi attaccanti di sistema, ma di certo non indimenticabili nel battere l’uomo: quindi il rinunciare ad avere insieme i due Orsetti potrebbe non essere un problema difensivamente.
L’altro punto fondamentale è capire che Z-Bo ci sarà in Tennesee: che la caviglia destra non sia a posto è un fatto, bisogna vedere se i 3 giorni di riposo e l’aria di casa gli permetteranno di tornare in una forma accettabile: con Randolph il recupero è possibile, senza è inimmaginabile. La tattica di SanAntonio di marcarlo da davanti ha pagato ottimi dividenti per gli Spurs. Una sua miglior condizione fisica gli permetterebbe di prendere meglio posizione ed essere più facilmente servibile dagli esterni. Anche perchè in questo comparto la situazione non è buona: al di là dell’ottima pressione sugli esterni fatta dagli Spurs che complica l’assunto, Allen non è certo un fine passatore, e di Bayless come passatore è meglio non accennare. Perfino Conley non è granchè in questa situazione: ormai eccelle nello scarico dopo aver battuto l’uomo, ma il suo servizio ai lunghi quando ha ancora il proprio difensore addosso richiede capacità, letture, tempi e fondamentali completamente diversi. Forse una soluzione da provare per Hollins potrebbe essere di usare come playmaker Prince: le lunghe braccia gli permetterebbero migliori angoli di passaggio, le letture e l’esperienza del giocatore sono senz’altro buone, e non dimentichiamo che per lunghi periodi nella Detroit degli anni d’oro il vero play della squadra era proprio lui.
Chiudo questa sezione ricordando (simpaticamente!) tre precedenti:
PlayOffs 2011: i Grizzlies battono gli Spurs 4 a 2.
Playoffs 2012: gli Spurs, avanti 2 a 0 contro i Thunder in finale di conference, finiscono la serie 2 a 4.
PlayOffs 2013: i Grizzlies perdono male gara 1 in trasferta contro i Clippers, e allo scadere una partita tirata in gara due. Poi vincono la serie 4 a 2.
Per mille motivi, nessuna di queste situazioni centra molto con l’attuale, ma sperare è gratis!
MIA – IND: 4 – 2
Per chi volesse una preview tecnica della serie, per altro direttamente dalla penna del nostro Direttore, la trova qui.
Aggiungo solo alcune considerazioni dopo quanto visto in gara 1.
Spoelstra ha fatto un lavoro eccezionale. Non gli si dava molto credito, sembrava un dilettante allo sbaraglio messo lì in attesa del ritorno glorioso di Riley e invece, dopo un fisiologico lasso di tempo, ha dato alla sua squadra una fisionomia chiara e vincente.
L’attacco è sostanzialmente un 5 fuori (molto fuori!), che parte ogni volta con una serie di blocchi, tagli, passaggi che non sono necessariamente mirati all’andare a canestro, ma servono per stancare la difesa, rallentare il ritmo e far toccare la palla a tutti per coinvolgerli nell’attacco. Poi finalmente parte il vero attacco, basato normalmente su una penetrazione di un esterno, resa più facile dal fatto che l’area sia vuota grazie allo schieramento a 5 fuori. I penetratori sono, in ordine di efficacia e di numero di volte che lo fanno in una partita: James, Wade, Cole, Chalmers. Contemporaneamente alla penetrazione parte un taglio, normalmente sulla linea di fondo, in mondo che i difensori accorsi in aiuto si trovino a dover scegliere tra il fermare il penetratore e il coprire il taglio. Il migliore in quest’ultimo fondamentale è decisamente il Birdman, fresco di una prestazione da 16 punti nella quale il tiro più difficile che ha fatto era da 15cm dal ferro. Anche la difesa a 5 piccoli è estremamente ben organizzata: mancano chiaramente i centimetri, ma vengono più che compensati da atletismo, velocità e organizzazione, così che l’attacco dei Pacers viene impantanato e strangolato in una rete di rotazioni aggressive che toglie l’aria a un gruppo privo di veri trattatori della palla, sia in palleggio che in passaggio.
Le due chiavi che potrebbe esplorare Indiana sono quindi queste:
In primo luogo puntare maggiormente sui lunghi, specie su West: se la sua ricezione è abbastanza profonda, e i compagni abbastanza lontani per scoraggiare la rotazione, non c’è modo che il pur incredibile Battier lo possa tenere. Del resto sia la serie con i Bulls, che diverse partite in RS hanno mostrato come questa difesa soffra i 4 con centimetri e punti nelle mani (da Boozer, a Randolph, a Davis).
L’altra chiave è che Stevenson attacchi in maniera continuativa Wade. Gara 1 ha ulteriormente confermato che Dwyane non ha più di 5 minuti di basket di alto livello a sera, quindi attaccarlo vorrebbe dire avere punti facili, ma soprattutto stancarlo; se LeBron ha dominato la partita e in particolare il supplementare, alla fine del quarto quarto l’ottima difesa di George l’aveva fermato, e solo i soliti 5 minuti da campione di Wade hanno tenuto a galla gli Heat.
Ultima nota di costume: nelle interviste postpartita LeBron si è presentato con camicia a quadrettini, cravatta a pois e giaccha gessata; ma oltre al barbiere (che, ricordiamolo, è disponibile H24 in casa sua), non potrebbe assumere anche qualcuno che gli fornisca qualche rudimento sul vestire? Forse basterebbe anche solo accendere la luce quando stabilisce gli accostamenti…
Vae Victis