Un’altra settimana a PlayOfflandia, e direi che stiamo decisamente salendo di colpi. Facciamo un giro veloce su tutte e 8 le serie, soffermandoci in particolare in quel di Chicago, dove KryptoNate deve averla fatta grossa…
MIA-MIL: 4 – 0; serie finita, e non c’era necessariamente bisogno di 4 gare per capirlo. Gli Heat piallano nel minor tempo possibile una squadra che era la personificazione dell’essere lì per sbaglio. La serie non inizia mai, gli Heat non devono nemmeno fingere di impegnarsi, e in gara 4 si permettono anche il lusso di tenere a riposo Wade. Jennings inguardabile, con 13 punti e un drammatico 29% dal campo, difficile ci sia un futuro per lui in Wisconsin.
NY-BOS: 3 – 2; onestamente sul 3 a 0 avevo smesso di crederci: Boston dando il massimo (con l’eccezione di uno sconsolante Terry) non aveva avuto possibilità contro una NY al suo peggio stagionale. Poi però c’è sempre quella cosa che si chiama Boston Pride: puoi anche battermi, ma di certo non puoi umiliarmi. Chi volesse confrontare questo atteggiamento con quello dei Lakers e soprattutto di Dwight Howard, potrebbe facilmente notare alcune differenze…
I Knicks giocano male, siamo praticamente tornati agli isolamenti alternati e insistiti di Melo e JR Smith, che segnano entrambi parecchio (e in maniere molto vicine alla perfezione), ma non permettono ai compagni di entrare in ritmo. Il solo Felton è riuscito a garantire prestazioni all’altezza, mentre gli altri sono spariti, a partire da un Kidd irriconoscibile, dopo essere stato a lungo l’anima della squadra. E il tutto senza nemmeno bisogno di riesumare Stoudamire, la cui presenza nella rosa dei disponibili è salutata nella grande mela come un gatto nero che ti attraversa la strada sotto una scala viola, e che rovescia del sale sopra uno specchio rompendolo. Il tutto di venerdì 17. Chiaramente Boston non ne ha abbastanza per vincere, nell’ultima partita la rotazione è stata a 6 giocatori (più una fugace apparizione di Williams), i Celtics non possono strappare la serie dalle mani dei Knicks di prepotenza. Però i bluarancio potrebbero sempre regalargliela…
IND-ATL: 3-2; benvenuti nel regno dell’orrore. Heat-Bucks non aveva niente da dire, ma almeno potevi gustarti qualche highlight di LeBron o Wade. Qua invece abbiamo una squadra immatura contro una demotivata e priva di talento. Per determinare chi vince, i giocatori in campo guardano il colore delle maglie del pubblico, e se è diverso da quello della propria maglia, si consegnano all’avversario senza colpo ferire. Tenere lontano dalla portata dei bambini…
BKN-CHI: 2 – 3; la serie più bella dal punto di vista delle emozioni. Chiariamo che per gli amanti del cesello non c’è molto da vedere, ma per chi vuole vedere impegno ed emozione, si fatica a trovare di meglio. Rapido sunto: non ostante un Deron in ottima forma, un Joe Johnson perfetto nei minuti finali (anche se quasi solo in quelli) e un Lopez molto maturo e produttivo, i Bulls con la loro difesa asfissiante, organizzazione perfetta e voglia da vendere, appaiono molto più forti. Le uniche due vittorie dei Nets si sono verificate quando Noah non ha giocato (nel senso che a causa della fascite plantare era sul campo, ma più come un osservatore ONU). Per vincere in gara 5 hanno avuto bisogno anche dell’assenza di Hinrich. Se questi due riescono a essere in campo (e su questo non ho grossi dubbi) e ad essere dei fattori (e qui è decisamente meno scontato), i Bulls la chiudono in casa in gara 6. Solo un attimo per tributare un omaggio a Nate the Great Robinson, che ha vinto per i suoi gara 4 andando oltre ogni buon senso. La partita era pressocchè finita, con i Nets con un vantaggio oltre la doppia cifra a pochi minuti dal termine. Quello è il momento in cui perfino Thibodeau la da su, e concede a Robinson carta bianca, perchè tanto ormai non c’è più niente da fare. A questo punto entriamo nel mondo dei cartoni animati, con Nate che prende ogni sorta di tiro possibile, e li mette puntualmente tutti. I compagni lo cercano disperatamente per dargli la palla, i Nets si concentrano su di lui con raddoppi e una difesa competente di Williams, ma è tutto inutile. Follia dopo follia il folletto riporta i suoi a contatto, e li mette pure in condizione di vincere, quando il deuteragonista, Joe Johnson, si ricorda improvvisamente di essere uno dei più forti closer della lega, e inizia a rispondere canestro su canestro. Ne escono fuori 3 tempi supplementari, una serie di giocate mozzafiato, e forse la miglior partita di questi PO. Robinson fa letteralemente di tutto, e riesce a stupirci perfino nel modo in cui ci stupisce; mi spiego: se lo vedi segnare da metà campo in sospensione con 2 uomini addosso, ti stupisci perchè il buon senso ti dice che quel tiro non dovrebbe entrare; però in qualche modo te ormai lo aspetti, perchè è puro “Nate’s Style”. Se però ti domina la partita con una difesa asfissiante su Watson che non riesce a ricevere e provoca un cambio rimessa, rimani più sorpreso. Se poi, dopo avere giocato da solo per 10 possessi (tutti ovviamente finiti a punti), arrivi agli ultimi due della partita, ti aspetteresti l’ennesima forzatura in solitudine. E invece, neanche fosse John Stockton, il buon Nate si tira tutti adosso, e poi scarica ai compagni (perfetti passaggi a una mano, sia chiaro!), che possono andare a referto indisturbati. Dopo 2 supplementari Robinson esce per falli, con un sesto fallo del tutto gratuito ed evitabile (quello sì, in perfetto “Nate’s Style”), ma i compagni riescono comunque a portarla a casa, con la ciliegina di un and one nel finale di Mohamed, scongelato per l’occasione.
SAS – LAL: 4 – 0; I Lakers sono costruiti male, e non possono vincere. Ce lo diciamo da 10 mesi. Togli dall’equazione per infortunio Bryant, poi Nash, poi Blake, poi Metta (che gioca siringandosi da solo il ginocchio malandato!). Se le tue guardie titolari sono Goudelock e Morris, non puoi aspettarti grandi risultati, ma probabilmente vista la situazione non era nemmeno quello che gli si chiedeva. Sarebbe bastato mostrare un po’ di voglia, di interesse, di … ORGOGLIO. E invece niente. I Lakers, come spesso accade, quando cadono crollano. Più di tutto mi ha colpito (e francamente indispettito) l’atteggiamento di Howard, che in gara 4 si fa espellere a metà partita, in modo abbastanza evitabile, dando ulteriore indicazione se ancora qualcuno ne necessitasse della sua immaturità, scarso attaccamente alla squadra e al gioco, e del suo essere del tutto inadatto ad essere la stella di riferimento di una franchigia. Ma ve lo immaginate Garnett che IN CASA SUA sceglie la via più facile per gli spogliatoi? Lui che probabilmente ha tatuato sul petto: “chi si estrania dalla lotta, è un gran figlio di …”? Ovviamente, lato Lakers, quella serata ha un solo e unico vincitore: Kobe Bryant. Dopo essere sparito dai radar per due settimane per il suo infortunio, restando presente solo per twittare insulti velati (neanche poi tanto) su compagni e allenatore, il Mamba (vestito in un indicativo nero integrale) sceglie proprio questa serata per ripresentarsi davanti al SUO pubblico. Come a dire: carriera finita? Amnesty clause? Howard la pietra angolare intorno a cui ricostruire? Va bene Staples Center, questo che avete davanti è il vostro nuovo campione: siete sicuri che volete lui, e forse è meglio affidarsi ancora a uno che una figura così non l’avrebbe mai permessa? Grandissimo.
Gli Spurs bene, ma per darne un giudizio bisognerebbe anche vederli giocare contro un’altra squadra di basket professionistica.
OKC – HOU: 3 – 2; Beverley, il rookie sconosciuto, che per altro sta giocando un’ottima serie, fa la giocata decisiva: in un eccesso di agonismo, si lancia su Russel Westbrook che si era distratto perchè stava per chiamare un time out, i due si scontrano, e Westbrook si rompe il menisco: stagione finita. E non parlo necessariamente solo di quella del play di OKC. I Thunder, non ostante le due vittorie iniziali, avevano iniziato la serie piuttosto male, confermando tutti i difetti che da sempre li contraddistinguono: Westbrook fuori controllo che forza troppi tiri, un attacco basato sugli isolamenti, l’incapacità di gestire un vantaggio, ma comunque la differenza di potenziale è tale che si vince abbastanza agilmente. Ma questo era prima. Dopo la dipartita (cestistica!) del numero 0, il giocattolo difettoso esplode. Durant si ritrova sulle spalle l’intero peso dell’attacco di OKC, gioca oltre 44 minuti a partita, tocca tutti i palloni, ne perde tantissimi. Nessun altro fa quel passo in più per dargli una mano, a partire da quel Kevin Martin che dovrebbe sostituire Harden, ma che alla prima partita importante (gara 5) fa vedere quanto valga in quelle situazioni, mettendo a referto solo 3 punti. Un Durant stratosferico basta per portare a casa gara 3, poi però si va sotto nelle 2 successive. I Rockets, non ostante siano decisamente in crescita nella serie, stiano prendendo fiducia e abbiano la prossima in casa, difficilmente passeranno il turno: Lin è infortunato, la difesa di Sefolosha su Harden è eccezionale e, a meno di performance irreali al tiro dalla lunga come in gara 5, riesce a contenere molto bene il barba, e il resto dell’attacco è poca cosa. Basta che in una delle prossime due gare Durant trovi una buona vena al tiro e vada per il quarantello per passare al turno successivo. Lì però probabilmente ci si ferma, e in ogni caso la finale NBA che sembrava scritta nelle carte è ora chiaramente irraggiungibile. Peccato, meritavano di più, e comunque almeno di non essere eliminati per demeriti non loro.
DEN – GSW: 2 – 3; Serie abbastanza sorprendente. Che le due squadre fossero molto vicine come potenziale si sapeva. Contando però il vantaggio del campo di Denver (che col noto fatto dell’altitudine vale doppio), la maggior esperienza di post season e l’infortunio occorso a Lee a inizio serie, i Nuggets sembravano indirizzati verso la vittoria. Le pepite sono invece andate sotto principalmente dal punto di vista mentale, permettendo a un Curry in stato di grazia di sculacciarli ripetutamente. La caviglia malandata di quest’ultimo sarà il fattore determinante per stabilire il vincitore della serie, ma sinceramente non si può che augurargli di stare bene, perchè è un giocatore mozzafiato.
LAC – MEM: 2 – 3; dopo i primi 2 episodi in california la serie sembrava già chiusa: i big men di Memphis abbastanza ininfluenti, LA domina in gara 1 e dimostra in gara 2, con il canestro vincente di Paul, di essere pure più abile a finire le partite tirate. Poi però la serie continua, e ti rendi conto che forse la vittoria di gara 2 è stata episodica. I Grizzlies vincono con un po’di fatica gara 3 in casa, dilagano in gara 4, e poi tornano a LA con un’altra faccia e, dopo 3 quarti combattutti, affossano i Clips nell’ultimo. Ora si torna nella tana … dell’orso, e con un Griffin forse assente per infortunio la situazione sembra irrimediabilemente compromessa per LA. Quando veramente è contato nessun compagno di Paul è stato all’altezza, è quando gioca da solo (come in gara 5, 36 punti e solo 3 assist) è un giocatore incredibile, ma che non vince mai. Incredibili invece i due lunghi di Memphis: Zebo sembra tornato quello di 3 anni fa, prende tutti i rimbalzi in attacco, soprattutto quelli non suoi, segna a piacimento contro ogni tipo di difensore, soprattutto nei momenti decisivi. Gasol difende in maniera divina, mentre in attacco segna, ma soprattutto fa segnare, con passaggi che ricordano (come idea, se non come fattura tecnica) quelli di Divac. Personalmente mi ha anche molto colpito il finale di gara 5: Gasol limitato dai falli deve sedersi per buona parte dell’ultimo quarto; nessun problema, Hollins va col quintetto piccolo (anche per matchare i 4 piccoli e mezzo degli avversari) e Randolph in centro, che si trasforma nell’MVP stagionale e tiene i suoi saldamente avanti. A questo punto però accade qualcosa che difficilmente si può vedere in altre squadre (chi ha detto Lakers, pensando a un altro Gasol e magari Howard?): Hollins per gli ultimi 2 minuti ritiene opportuno rimettere in campo Gasol, più fresco, ma non potendo tenere 2 lunghi perchè non si sarebbero potuti accoppiare con il quintetto avversario, decide di togliere Zebo. L’eroe degli ultimi 10 minuti, quello che ti ha permesso di vincere la partita e forse la serie, tolto dal campo a 2 dalla fine. E Zach che esce, non questionando con l’allenatore perchè ritiene di aver subito un torto, ma sorridendo e pronto a supportare col tifo il compagno che va a continuare il suo lavoro.
Signori, sono vecchio e forse all’antica, ma a me questo basket continua a piacere di più.
A settimana prossima per le previsioni del secondo turno!
Vae Victis