Prima settimana di PlayOffs trascorsa, e direi che si è già visto parecchio. Ho raggruppato le serie in 3 gruppi, dopo gli exit pol delle prime 2 gare.
Era meglio andare al mare
3 serie appaiono del tutto senza speranza per la squadra sfavorita, che non dà il minimo segno di poter (o voler) lasciare il suo segno sulla stagione 2012/2013.
Partiamo con la più chiusa di tutte, Miami-Milwuakee: Lebron nella prima, Wade nella seconda, hanno spiegato ai giovani cerbiatti che non basta vincere un pugno di partite nello sconsolato est per poter essere considerati squadra da PO. Due vittorie nette, con il risultato mai in discussione e con gli Heat che non hanno mai mostrato nemmeno di doversi impegnare. Qualche sussulto all’inizio di gara 2 di Yliasova è stata la cosa più vicina a una reazione da parte dei Bucks, mentre la coppia Ellis-Jennings ha brutalmente steccato, con pochi punti e percentuali al tiro da reato penale. Ribadiamo il 4 a 0 e cambiamo canale sbadigliando.
Continuiamo con Indiana – Atlanta: che i Pacers fossero molto più forti non c’erano dubbi; i Falchi si erano però guadagnati il diritto almeno a essere considerati pericolosi grazie ad una stagione in cui hanno giocato molto al di sopra delle aspettative; ecco, in queste prime due gare si sono visti invece esattamente gli Hawks che ti immagineresti: arrendevoli, confusi, privi di talento e soluzioni, soprattutto privi di voglia. L’amletico J Smooth è sceso dal letto dalla parte sbagliata, e ci ha mostrato solo la sua versione peggiore, ovvero il tiratore (modesto) da 3 sugli scarichi. Dal lato loro i Pacers stanno dando prova di discreta maturità, pur a un banco di prova non particolarmente significativo. George, fresco eletto most improved player della stagione ha steccato gara 1 (dal punto di vista offensivo, perchè il gioco all-around èstato comunque di tutto rispetto), ma si è fatto perdonare con una sontuosa gara 2.
Il secondo turno li attende.
L’ultima serie del lotto è Spurs – Lakers: avere Kobe crea mille problemi, ma non averlo sembra decisamente peggio. Come previsto, il play risultato più forte in RS (almeno nell’andare a canestro in proprio), Tony Parker, buca a ripetizione quella che atavicamente è considerata la peggior difesa sui play di sempre, quella angelena: Blake e un commuovente Nash infortunato si guardano confusi cercando di capire cosa li ha colpiti, mentre il francese trentelleggia senza nemmeno far fatica. A questo si aggiunge Ginobili, che dopo aver battuto il suo avversario diretto nella serie, il Pop che lo voleva tenere a riposo, regala ai suoi un punto al minuto, ottenendo da solo risultati molto migliori dell’intera panchina gialloviola. Infine i molti minuti concessi a Bonner permettono di aprire il campo e rendono la gara tatticamente ingiocabile per le due torri (così chiamate più per la mobilità che per l’altezza). E quando Bonner (!?) mette in difficoltà Gasol e Howard, vuol dire che il tuo piano tecnico sulla serie probabilmente non è granchè. Una serata di genio di Nash, o un insospettabile allineamento tra lo spagnolo e Dwight potrebbero regalare ai Lacustri una vittoria tra le mura amiche, ma oltre temo non si possa andare.
Vorrei ma non posso
Scene strappalacrime di squadre che mettono in campo tutto quello che hanno, sembrano potercela fare, ma alla fine la squadra più quotata vince, come giusto.
E apriamo con Boston – NY, serie che mi procura del dolore fisico guardandola, perchè ti rendi conto che i Biancoverdi si muovono sempre sul filo del miracolo, andando ben oltre quello che fisici logori e scarso talento potrebbero dare. Il miracolo in qualche modo regge per 24 minuti, poi buon senso e leggi della fisica prendono il sopravvento, e la barchetta dei Celtics si schianta puntualmente e fragorosamente contro gli scogli della realtà. Non che NY non cerchi in ogni modo di aiutarli, giocando uno dei peggiori basket di tutta la stagione: il tempo sembra scorrere all’indietro, e tutto l’attacco scintillante dei bluarancio, basato su passaggi, riaperture, circolazione di palla, buone scelte di tiro (anche se veloci) sparisce, e torniamo agli isolamenti insistiti per Melo e Smith. Il problema è che il peggior Melo dell’anno ne fa comunque più di 30 a partita, e questo è decisamente troppo per una squadra come Boston, che guarda agli 80 punti come gli Ebrei guardavano alla Terra Promessa.
Boston in casa può fare meglio, soprattutto se Terry decidesse di iscriversi alla serie (qualche timida prova generale in gara 2, dopo un primo episodio pornografico). Questo sempre che i Knicks non ritrovino la loro miglior vocazione offensiva: in quel caso nemmeno la miglior Boston potrebbe opporsi.
Continuiamo con dei commuoventi Rockets che, dopo un’asfaltata memorabile nella prima gara in Oklahoma, tornano in vita e lottano contro la logica per 48 minuti. Da notare (mai avrei pensato di metterlo per iscritto) l’acume tattico di McHale, che spariglia le carte in gara 2 andando col quintetto piccolo, shiftando di una posizione Lin e Harden per inserire Beverley. Il piccolo play reagisce con la partita della vita ed un numero di rimbalzi non adeguato ad un giocatore di quella stazza, oltre ad una marcatura su Westbrook decisamente migliore di quella del taiwanese in gara 1. Harden lascia le cure di Durant ad un inspirato Parson, mentre lui si occupa con successo di Ibaka. Questo, unito all’aggressività di tutti i Rockets, fa si che la partita duri 48 minuti, non ostante l’indisponibilità di Lin per tutto il secondo tempo a causa infortunio. Harden, dopo una prima partita balbettante, ci regala una prestazione clamorosa, con 35 punti, 6 assist e 13 rimbalzi. OKC è sempre OKC, con Westbrook che quando inizia la post season si ritrasforma in un giocatore dissennato, egoista e controproducente, che tira (male) tutto quello che tocca. I Thunder però non si scompongono, e a 5 minuti dalla fine Durant pennella il più 12 che sembra chiudere l’incontro. Poi l’insensato ritorno dei Rockets, ma nel finale ancora Durant, seguito da Sefolosha e Ibaka mettono tutto a posto. Peccato, sinceramente Houston avrebbe meritato, e fai fatica a non fare il tifo per loro.
Chiude questa sezione LAC – Memphis.Insospettabilmente bastonati in gara 1, nella seconda i Grizzlies tirano su la testa, con un Randolph un po’ migliore e soprattutto un ottimo Gasol. Arrivano a pari nel finale, ma allo scadere Chris Paul, dopo aver fatto contenti tutti i bambini che giocano nel suo cortile, si mette in proprio, e con un canestro in penetrazione col sottotitolo: “non provate a farlo a casa”, mette al sicuro il 2 a 0. Delle 3 serie citate questa è quella che mi dà più speranze di potersi allungare, perchè abbiamo senz’altro visto LA al suo meglio, ma i Grizzlies sono stati comunque sotto tono. Vediamo se in casa le cose cambieranno.
Upset
Parlare di upset per l’1 a 1 di Brooklin – Chicago può sembrare eccessivo. In effetti la sorpesa più grande l’ho avuta leggendo della sconfitta netta dei tori in gara 1, spiegabile con una partita sorprendente di un Williams sempre più in palla, e soprattutto con l’indisponibilità fisica di Noah, presente per onor di firma, ma pesantemente limitato dalla fascite plantare. In gara 2 invece Noah torna e, novello Willis Reed, guida i suoi alla meritata vittoria, complice anche un boost nel secondo quarto da parte di un ottimo Belinelli dalla panca, preferito da Thibodeau a Hamilton come sesto uomo. Ci si sposta nella Windy City, e onestamente le carte in mano ai Nets non sembrano così buone.
La sorpresa più clamorosa però resta quella dei Warriors: Denver, complessivamente più forte e più in forma, non ostante la rinuncia per infortunio a Gallinari e Faried, ospitava Golden State nel suo palazzetto blindato, quello in cui in stagione hanno perso solo 3 gare su 41, complici anche i 1600 metri di quota che fanno mancare l’aria a chi non c’è abituato. Gara uno termina 97 a 95, punteggio bassissimo viste le due squadre coinvolte, con i Nuggets che si salvano nel finale grazie ad un ultimo quarto eroico di nonno Miller, che corona una prestazione da 28 punti con il canestro della vittoria. Sembrava quella l’occasione buona per i Warriors per strappare una gara in Colorado, persa quella tutto sembrava finito, complice anche l’infortunio a Lee che ha messo fine alla sua stagione, e il ritorno per gara 2 di Manimal. E invece GS si presenta aggressiva, prima con Thompson, che sembra non poter sbagliare un tiro, poi con un Curry semplicemente da MVP, tiratore sublime sugli scarichi, ma anche capace di crearsi il tiro battendo l’uomo in un modo che sinceramente non credevo possibile per lui. Ora si trasloca nella Baia, e onestamente la situazione per le Pepite è tutt’altro che rosea.
Vae Victis