Per questa settimana bypassiamo il tema cardine di questo ultimo pezzo di stagione, ovvero se i Lakers faranno o meno i PO. Al momento sembra che, complice il suicidio da manuale messo in atto dai Jazz (perdendo 9 delle prime 10 partite dopo l’ASG), possano farcela.
Ma noi oggi parliamo dei nuovissimi Nets e del loro primo giro al tavolo delle franchige che contano: arrivati a ottobre nella Grande Mela, lato Brooklin, si sono rifatti il look (con risultati modesti, sia in campo che in senso stretto…) e provano ad alzare la voce.
Sta tutto nel manico
Il primo pensiero non può che andare a Mr Prokhorov. Non ostante una foto su Wikipedia che lo fa sembrare un decerebrato sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, in realtà trattasi del secondo uomo più ricco della russia, 13 miliardi di dollari guadagnati nella finanza e nei minerali preziosi, e oggi messi a disposizione del suo personale piano di conquista dell’America, tramite l’acquisizione dei New Jersey Nets. Viene da dire che probabilmente non volesse dare troppo nell’occhio.
Pensando a questo folkloristico multimiliardario mi viene subito da accorstarlo all’altro proprietario ricco e “particolare” che c’è nella lega, ovvero Mark Cuban. Come il suo predecessore, anche Prokhorov si è comprato una franchigia con in mente l’idea forse un attimo semplicistica che bastassero il suo carisma e un budget senza limite per creare in uno o due anni una squadra da titolo.
Partendo da questo principio Cuban aveva messo insieme degli All Star Team, che avevano come sesti uomini giocatori come Antwan Jamison o Antoine The Genius Walker; certo, letti oggi la cosa può far sorridere, ma all’epoca si trattava di convocati regolari per l’ASG. Allo stesso modo il vulcanico owner dei Mavs ha elargito insensati contrattoni più o meno ad ogni afroamericano oltre i 215cm e i 130Kg, ricavandone poi pochino. La realtà è stata però molto più deludente, e il viaggio che ha portato i Mavs al titolo è durato parecchi anni, ha necessitato una pietra angolare di livello assoluto come Classe Dirk, un allenatore e un gruppo di veterani underdog da una vita e con grande voglia di rivincita, un suicidio tecnico insensato da parte dei 3 amigos di Miami, e in generale l’allineamento di almeno un centinaio di pianeti.
A una decina di anni di distanza ci riprova il russo, con la stessa supponenza e faciloneria, comprando tutto quello che trova sul mercato e manifestando chiaramente il suo stupore e disappunto per il non avere ancora vinto.
Chi è quel ciccione con la maglia numero 8?
Come punto di partenza per la rifondazione dei Nets è stato scelto Deron Williams. Considerando che in cambio sono stati mandati ai mormoni Devin Harris (un fenomeno assoluto il suo anno da rookie, poi spentosi di schianto, forse anche in seguito alla scarsa fiducia dimostratagli da tutti i GM che l’hanno avuto sotto contratto) e Derrick Favors, scelta numero 3 del draft del 2010, che solo ora sta cominciando a far vedere qualcosa del suo vero potenziale. Diciamo, giusto per dare un po’ di contesto su Williams, che ha reso Utah una contender per diverse stagioni giocando in coppia con Boozer; lo ripeto, così avete tempo per afferrare il concetto: Carlos Boozer. Non Duncan, Garnett, Barkley: Boozer. Erano gli anni in cui il suo pick and roll era mortifero, il sistema dei Jazz gli era cucito addosso, faceva contenti tutti e col suo fisico compatto ed esplosivo poteva farti male nei finali di partita sia col jumpshot uscendo dal blocco, sia penetrando, subendo il contatto a centro area, e perfino andando a schiacciare. L’NBA era spaccata su chi fosse il miglior play fra lui e Chris Paul. Vi dirò di più: io, da sempre acuto conoscitore di talenti, ero schierato dalla sua parte.
Ecco, diciamo che oggi la situazione è un po’ cambiata. Innanzi tutto Deron, simpatico come una zanzara in camera da letto quando non riesci a prendere sonno, si è dato parecchio da fare per litigare con qualsiasi bipede abbia incontrato sulla sua strada. Ha divelto Sloan dalla panchina che occupava da 19 stagioni, litigato con tutti i compagni di Utah, si è fatto scambiare, ha litigato con i compagni dei Nets, ha fatto finta di andare a Dallas (città natia), salvo poi rimangiarsi la parola e, ultimamente, insultarli pure. E’ andato in Turchia a giocare durante il lock out, pensando di fare da apripista, salvo poi girarsi e ritrovarsi da solo, ha avuto un ruolo importante nel licenziamento di Avery johnson, solo un mese dopo che il Little General aveva vinto il premio di coach del mese.
Dopo aver passato la scorsa stagione più in panchina che in campo, a causa di molti infortuni, reali o meno che fossero, quest’anno era atteso all’esplosione come leader della nuova squadra, con i nuovi strapagati compagni, nuove maglie e un nuovo pubblico, nella città che non dorme mai.
17 punti, 7 assist, 3 rimbalzi. Non male, ma nemmeno niente di indimenticabile. In più, le classiche statistiche che non vorresti vedere dal tuo leader: quasi 3 punti di media in meno nelle partite in trasferta rispetto a quelle in casa, 2 in meno nelle partite perse, come a dire: se le cose vanno male o sono troppo complicate, io mollo e provateci voi! E queste cifre non sono nemmeno le peggiori: nel mese di novembre il buon Deron ha tirato col 38% dal campo e un allarmante 26% da 3. La pausa dell’ASG, a cui dopo diversi anni non è stato convocato, gli ha giovato, e le cifre di marzo sono notevoli. Il problema però non è quello. Che Williams possa fare ciò che vuole su un campo di basket è cosa nota. Si pensi a quando ha scritto 60 in una partita del campionato turco: il numero è sorprendente in sè (contando anche che la partita è di 40minuti, non 48), ma sorprende ancora di più se si considera che, data la forma … modesta del giocatore, lo si poteva distinguere dalla palla perchè lui delle due sfere era quella con su una canotta.
E anche settimana scorsa nell’NBA ha sotterrato Washington sotto una sassaiola di triple (11 su 16) per 42 punti complessivi. Il problema, dicevo, non è che lui non possa segnare, quanto piuttosto QUANDO abbia voglia di farlo, con che continuità, e come guidi e coinvolga i compagni.
Il contesto di squadra
La convivenza con Johnson (per altro anche a lui la cura Nets non sembra aver fatto troppo bene…) è impraticabile, JJ vuole (e ha bisogno, per provare a essere efficace) tanto la palla in mano, vuole gli isolamenti, un gioco statico. Se come squadra hai investito 20 milioni all’anno per i suoi servigi, non puoi metterlo da parte. Però io resto convinto che un attacco strutturato sui pick and roll centrali tra Deron e il sorprendente (almeno in una metà campo) Lopez potrebbe funzionare molto meglio. Il gemello buono (a giocare a basket) segna 18,6 punti a gara, ma in un contesto tecnico del genere potrebbe facilmente aspirare almeno ai 23-24, visto il talento offensivo che ha e la capacità di Dwill di servirlo sul taglio dopo il blocco. Con due esterni bravi a tagliare e a tirare da 3 sugli scarichi e con un lungo come Faried o Noah a coprire le magagne divensive di Lopez, potrebbero mettere su davvero un buon quintetto. In questo contesto anche Wallace potrebbe avere più senso (certo, comunque non al costo attuale!), essendo un buon tagliatore, dinamico, tiratore da 3 almeno accettabile, e molto propenso al gioco di squadra. Invece si trova schiacciato tra Dwill e JJ, entrambi sempre con la palla in mano, in un attacco di gente ferma che guarda: i tiri da 3 piazzati dopo non aver fatto niente tutta l’azione non sono il suo forte, e i soli 2,6 assist a gara sono un delitto per un discreto all-around come lui. Abbondantemente il più penalizzato dalla convivenza del terzetto.
Con un attacco di questo tipo, e il maggior movimento di palla e soprattutto di uomini, anche Deron potrebbe essere più efficace: fin qui, un po’ per pigrizia, un po’ per mancanza di forma atletica, ma anche per stile di gioco di squadra e intasamento dell’area, l’8 nero si limita a tirare dalla lunga. E quando tiri solo da fuori, i risultati possono essere eccezionali come nell’ultimo mese, ma anche pessimi come a novembre. Per riavere un Dwill da ASG, è necessario che riprenda anche a penetrare e aggredire il canestro.
Oggi Brooklin può arrivare in un posto qualunque fra la 2 e la 7 dei PO ad est, difficilmente però può pensare di sopravvivere al primo turno, a meno di un accoppiamento veramente fortunato (al momento li vedrei favoriti solo in un improbabile accoppiamento con i Bucks). Per il prossimo anno però è necessario cambiare qualcosa. Si parla ancora del possibile arrivo di Howard, anche se sembra sempre più lontano. Se qualche mese fa il problema era prettamente economico, oggi ci sono anche motivazioni tecniche: tra l’esplosione di Lopez e la regressione di Howard (sia mentale che fisica, e nessuna delle due sembra al momento reversibile), oggi il centro più forte tra i due sembra quello già a libri per i Nets…
Comunque i soldi ci sono, la luxury tax non spaventa, e il capo ha una certa fretta. Credo che liberarsi di Johnson sarebbe molto funzionale ad un miglioramento della squadra, ma appare difficile che possa accadere con quel contratto e quanto fatto vedere quest’anno.
L’altro punto su cui lavorare è quello del coach: Prokhorov sembra abbia messo sotto il naso di Jackson 16 milioni all’anno per il dubbio privilegio di poter allenare quest’accozzaglia di giocatori, ma al momento coach Zen pare aver rifiutato, complice anche la situazione in divenire (dopo la morte di Jerry Buss) dei suoi amati Lakers. D’altro canto trovare qualcuno in grado di dare ordine e fisionimia chiara a questa squadra è fondamentale. Perfino a Miami è servito qualcosa di più del “tiriamo un po’ a turno” per rendere vincenti i loro 3 top player; e LeBron, Wade e Bosh sono un pochino meglio di Williams, Johnson e Lopez (beh, almeno 2 su 3…).
Quindi per i tifosi Nets: animo in pace per questa stagione, e grossa attenzione alle operazioni estive, più in panca che in campo.
Vae Victis