Presto per tirar conclusioni, ma ancora una volta sulla costa Ovest sembra riconfermarsi la gran bagarre di sempre, escludendo forse solo i due fanalini di coda, gli Hornets, alle prese con una squadra giovane ancora incapace di competere con squadre di più alto livello e i Kings, che nonostante le W ottenute settimana scorsa con Lakers e Jazz, continuano ad aver problemi sul piano tattico, pur restando imbattuti tra le mura amiche.
Continua invece la cavalcata dei Memphis Grizzlies, un gruppo giovane e ben affiatato da coach Hollins, forte di una difesa e di un attacco tra i migliori della lega, delle vittorie su Heat, Knicks e Thunder e forte soprattutto di un ottimo record che, al contrario di quanto in molti dicevano a inizio stagione, ha saputo costruire con la difesa, la small-ball e soprattutto atletismo una corazzata che non ha avuto bisogno di nuove star, ma a cui è bastato un inizio fenomenale di Gay, Conley e Z-Bo (anche se Zach Randolph rimane comunque un contrattone piuttosto scomodo). A poca distanza comunque le altre contender, prime su tutte Spurs e Thunder: Popovich può contare su un Duncan a livelli mai visti da anni in Regular Season e, come ogni anno, su una chimica di squadra fenomenale, capace sempre di dare ai suoi ragazzi un’impronta unica che creando fluidità di gioco porta inevitabilmente a guidare la squadra senza troppe difficoltà al top della Western Conference. A Oklahoma invece, l’addio di Harden è stato ben tamponato dall’arrivo di Kevin Martin, che, con percentuali da record (50% dalla lunga, 46% dal campo e 93% ai liberi), si è già fatto conoscere alla corte di Durant: la vittoria agli OT con i Sixers ha oltretutto dimostrato come il livello difensivo sia salito di molto, oltre al fatto che, se già pochissime squadre hanno nel proprio roster qualcuno in grado di arginare il duo KD-Westbrook, l’inizio di stagione ha visto anche l’ottimo upgrade di Serge Ibaka in fase offensiva , al momento uno dei lunghi più dominanti e completi della NBA.
Discorso a parte lo meritano i Lakers del nuovo allenatore Mike D’Antoni. Licenziato Mike Brown, i gialloviola hanno subito ripreso fiducia nei propri mezzi, pur non brillando per basket giocato e risultati ottenuti, se non a sprazzi. Al di là di un Kobe Bryant ispirato come non mai (al momento miglior realizzatore della stagione) e la classica grinta di Metta World Peace, infatti, LA paga ancora troppi alti e bassi, a partire da delle non particolarmente brillanti performance dei lunghi (Gasol su tutti) e una panchina incapace di portare contributo, possibile conseguenza della screanzata gestione della rosa da parte di Brown. Ciò nonostante, la sconfitta a Memphis e la comoda vittoria a Dallas hanno dato segnali incoraggianti e da parte di Jamison, bravo a rimpiazzare il fiacco catalano #16, e da parte di D’Antoni, che ha già lanciato importanti segnali sulla gestione Howard-Gasol, confermandone la poca compatibilità per troppi minuti, oltre a quintetti più bilanciati in grado di tenere il campo. Il ruolino di marcia segna 7-7, ora servirà continuità per tornare tra le grandi in attesa del ritorno di Nash e del vero Dwight, quel Superman che fino allo scorso anno dominava chiunque nel pitturato.
Non mancano poi le sorprese, perché Clippers e Warriors hanno costruito una prima parte di stagione davvero incoraggiante grazie al lavoro e alla leadership di Chris Paul e Stephen Curry, seppur entrambi i team siano ancora privi di giocatori del calibro di Billups per i losangeleni e Bogut per Golden State.
Un ultimo appunto per i Nuggets del “nostro” Gallinari: la squadra del Colorado, reduce dalla vittoria contro i Warriors, conferma il buon stato di forma, un match, quello contro la franchigia della Bay Area, che ha visto protagonista anche Danilo, non solo con 20 punti, ma soprattutto con una convincente prova di aggressività, piuttosto rara in questa stagione. Iguodala e Lawson sono senza dubbio una tra le migliori coppie schierabili, Faried l’uomo in più che può e sa fare la differenza sotto i tabelloni, ma certo il 66% ai liberi, maglia nera della lega, sta davvero stretto a George Karl, forse ancora più di una gestione di gioco improntata sul contropiede e ancora macchinosa a difesa schierata.
Michele Di Terlizzi