“Bene o male, purchè se ne parli”.
Questa massima è quella che guida i destini delle due più visibili franchige NBA, corrispondenti non a caso ai 2 maggiori mercati economici: i New York e Los Angeles.
Se i Knicks veleggiano felici, ebri di un 5 a 0 (unica squadra ancora imbattuta al momento in cui scrivo), complice l’irreale percentuale da 3 e il provvidenziale infortunio a Stat, che ha risolto in maniera salomonica l’insolubile dilemma della sua convivenza con Melo, i Lakers se la passano decisamente meno bene.
Dopo una preseason senza alcuna vittoria, e una non entusiasmante partenza 1-4, la dirigenza angelena ha terminato la collaborazione con Mike Brown e scelto come suo sostituto Mike D’Antoni.
Prima di entrare nel merito degli aspetti tecnici (cosa non andava, cosa cambierà, etc), vorrei soffermarmi un attimo sul modo in cui l’allontanamento di Brown è avvenuto.
Nessun’altra franchigia avrebbe licenziato un allenatore dopo sole 5 partite, indipendentemente dai risultati. Il fatto che Brown fosse allenatore sospetto quando si gioca ai massimi livelli, era noto. Che essendo un tantino incline a subire la personalità della sua star, anche. E quindi gettarlo nelle grinfie della star più ingestibile e ingombrante di tutte, il simpatico Kobe, probabilmente non era una buona idea. Poi si decide di mettere in squadra altri giocatorini poco problematici da far convivere, come Howard e Nash (più ovviamente Metta, che era già in casa) e a questo punto sei davanti alla certezza: Mike Brown non è l’uomo giusto. Ma questo (se vogliamo considerare come goccia finale solo l’arrivo di Howard, e non gli ampi segnali indicati prima) lo sai da agosto. E allora, o decidi che Brown non va bene, e lo licenzi subito, facendo fare il training camp a un altro allenatore, oppure decidi di sfidare sorte e buon senso, e te lo tieni almeno per una ventina di partite: nessun allenatore, nemmeno il più bravo, preparato, esperto e carismatico di tutti potrebbe prendere quel caos primordiale e renderlo una squadra vincente in un mese.
Ma qui siamo a LA, lo spettacolo è ben tollerato, anzi preteso, e probabilmente un 1 – 4 pesa più che altrove. E allora via con questa ennesima azione insensata.
Bickerstaff eletto allenatore ad interim, Kupchak fa anche lo spiritoso e dice che potrebbe restare per tutto l’anno, e intanto partono le trattative con i due reali pretendenti, D’Antoni e Phil Jackson. Si fa anche il nome di Sloan, ma l’ex coach dei mormoni a LA è credibile più o meno come Shaq in un convento di clausura.
Coach Zen in realtà più che un pretendente è un preteso, da Kobe, dai notabili intorno alla franchigia, dagli stessi tifosi. Questi ultimi ancora convinti della solita bufala, ovvero che Jackson sia in grado di trasformare la cacca in cioccolato. La realtà invece è che lui è bravissimo solo nel prendere la squadra più forte del campionato e farle raggiungere il suo meglio e vincere (sia chiaro, azione comunque non banale e non da tutti). Così il buon Phil declina l’invito, ben consapevole che con quel roster non vincerebbe neanche il padre eterno…
Certo, per un attimo avrà traballato, all’idea di prendere un mare di soldi (si parlava di 20mln all’anno), e soprattutto di avere un’altra occasione per palesare la sua superiorità verso la dirigenza (e soprattutto il “cognatino” prodigio, Jimmy Buss) e umiliare la franchigia angelena come nessuno mai ha fatto nella storia dello sport.
Ma alla fine la “scelta” cade sul Baffo, e il suo esordio è previsto per domenica.
[b]Mission Impossible[/b]
E’ utile precisare che, al di là di quanto D’Antoni possa chiedere, e al limite anche ottenere, questa squadra non è allenabile.
Come ho già detto, non è la convivenza (comunque difficile) fra Bryant e Nash il problema, ma quella fra Howard e Gasol, specie in questo momento storico dell’NBA.
Se escludiamo infatti Memphis e, solo in parte, OKC, tutte le altre squadre, specie se di alto livello, giocano ormai in maniera scoperta e dichiarata con 4 piccoli, più un centro che spesso è comunque o anche lui un tiratore da fuori, o uno specialista difensivo a cui nella metà campo avversaria si chiede solo di andare a rimbalzo.
Howard e Gasol sono due giocatori molto diversi per caratteristiche fisiche, attitudine, intelligenza, background tecnico. Si tratta però di due modi, seppur antitetici, di interpretare esattamente lo stesso ruolo: stesse posizioni occupate, stessi posti dove vorrebbero ricevere, stessa tipologia e volume di tiri che si aspetterebbero. Farli giocare insieme è quindi il miglior modo per far sì che si limitino a vicenda.
In difesa c’è bisogno che uno dei due esca sul perimetro per difendere su un finto 4: per ovvi motivi quest’uno non può che essere Gasol, che però oggi per età, statura, atletismo, e tutto sommato anche voglia, non può farlo in maniera continuativa ed efficace. Farli giocare insieme vuol dire quindi partire con un forte handicap difensivo contro qualsiasi squadra. Questo può essere un costo calcolato se poi in attacco riesci a sfruttarli per ricavare un vantaggio. Citiamo ancora una volta i Grizzlies: Gasol (Marc) e Randolph hanno gli stessi problemi difensivi sui 4 avversari, ma in attacco sono un mismatch per tutte le coppie di lunghi della lega, perchè i due si integrano e completano perfettamente, valorizzandosi a vicenda. L’allenatore avversario si trova quindi nella situazione di dover scegliere tra il conservare il proprio modo abituale di giocare, ma andare sotto pesantemente in difesa, oppure snaturare la sua formazione e tornare ai due lunghi classici: non è detto che sia una scommessa vincente, ma almeno è sensata.
I Lakers invece vanno sotto in difesa, ma in attacco non hanno particolari benefici: Howard fa Howard, mentre a Gasol è chiesto praticamente di essere Ryan Anderson e tirare dai 5 metri sugli scarichi. Può farlo, a volte perfino con risultati apprezzabili, ma rimane comunque uno spreco di talento, e in ogni caso non un punto di particolare forza nei confronti delle altre squadre.
[b]Il futuro sotto D’Antoni[/b]
Cosa può fare allora il povero Mike? Onestamente? Con questo roster, niente.
Certo, aspettiamoci un breve periodo di miglioramento dei risultati, sia perchè fare peggio onestamente è difficile, sia perchè al cambio di allenatore segue sempre quel periodo “dimostrativo”, fatto di entusiasmo e buona volontà, condita da desiderio di rivalsa. Nel medio periodo però questo effetto si affievolisce, e siamo da capo. Anzi, siamo un po’ peggio. Il doppio lungo come detto è un problema oggi nell’NBA, ma lo è ancora di più nel sistema D’Antoni, il quale è famoso (vedi esperienza newyorkese) per non venire mai meno ai suoi principi tattici, indipendentemente dal materiale a disposizione. Faccio sinceramente fatica a immaginare un gruppo di giocatori meno adatti a eseguire le idee di D’Antoni: una guardia (Kobe) che ama fermare la palla, un’ala piccola (Metta World Peace) che ama anch’essa la palla in mano, e in generale non è famosa per capire immediatamente gli schemi e i posizionamenti in campo, un lungo (Howard) con un IQ cestistico da minorato, e in generale 4 giocatori che piuttosto che correre in contropiede si darebbero al badminton. L’unico che sarebbe disponibile a correre è, per ironia della sorte, il più anziano: Nash, che però ha 800 anni e, una volta abbandonate le magiche cure di Gandalf e del resto dello staff medico di Phoenix, è già rotto.
Perchè la cosa possa risultare almeno presentabile è quindi necessario giocare con un solo lungo; l’ipotesi però di far giocare metà partita ciascuno a due giocatori con quei nomi e quei contratti è impensabile. Oltre ad essere destabilizzante, perchè chiedi agli altri di diventare schizofrenici e giocare 24 minuti in un modo e 24 in un altro, senza per altro sapere dove guardare nei finali di partita.
Più probabile quindi che si scambi uno dei 2, cercando di arrivare a uno swinger che allarghi il campo (Josh Smith? Kirilenko? Deng? Gay? O magari Iguodala…).
Se la scelta potesse farla D’Antoni, non credo ci metterebbe moltissimo: da una parte abbiamo Gasol, una sorta di Heinstein del gioco, mani di velluto sia per tirare da lontano che per passare, comprensione immediata del gioco, degli schemi, eccezionale capacità di lettura della difesa e successivo adeguamento.
Dall’altra abbiamo Howard, acuto come un tostapane, una sorta di cavernicolo dal tiro da fuori (si fa per dire…) molto meccanico, che l’unico schema che comprende è: ricevo in post basso, faccio a cornate per 15 secondi per cercare di avvicinarmi, e se non riesco la riapro per il tiro da 3.
Purtroppo però credo che essendo Howard appena arrivato, con tanto di battage marketing, con un contratto importante, condizioni fisiche ancora dubbie e con limitazioni sui tempi e le modalità di scambio (a seguito del nuovo contratto collettivo), sia difficile pensare di scambiarlo. Inoltre il fascino del centrone dominante a LA è molto sentito, quindi è più probabile che il sacrificato sarà Gasol. Credo anche che sia nell’interesse di tutti fare questo scambio il prima possibile, in modo che D’Antoni possa iniziare subito a lavorare sul roster definitivo, e non sia costretto a cercare una difficile chimica provvisoria su un roster destinato a cambiare nel giro di pochi mesi.
Se effettivamente si riuscirà a risolvere bene e in breve la questione lunghi, credo che D’Antoni possa essere l’allenatore ideale per indirizzare correttamente il processo di coesistenza fra Nash e Bryant: ha sia le capacità, che il carisma, che la credibilità per convincere i due a giocare insieme valorizzandosi al massimo: non sarà facile, ma potrebbe essere una convivenza di grande successo.
Morale: sembra che le franchige dell’ovest stiano facendo di tutto per complicarsi la vita.
Prima OKC, che si spara in un piede lasciando andare Harden, e perdendo quote e credibilità nei ranking. Ora LA, che si dichiara ufficialmente cantiere aperto, e senza le idee molto chiare sulla direzione da prendere.
Andando con ordine, la prossima news probabilmente sarà una trade in cui gli Spurs scambiano Ginobili per Richard Jefferson.
Oppure i Clips che nominano head coach Vinnie Del Negro. Ooops! Temo che questo l’abbiano già fatto…
Vae Victis
Carlo Torriani