Devotion! Devotion! I feel devotion!
È tutto pronto: dopo un anno di partite entusiasmanti si arriva alla finale che tutti aspettavano; nelle immagini provenienti da Istanbul si vede un palazzetto gremito, i giocatori che cercano la massima concentrazione per battere l’emozione che altrimenti li scioglierebbe rapidamente al suolo e in sottofondo il fantastico inno dell’Eurolega che ti carica a bestia anche se non riponi alcun tifo particolare in nessuna delle due sfidanti al titolo.
Si avvicina il momento della palla a due, ma in campo si avvicina solo il CSKA mentre l’Olympiacos ci fa attendere ancora un bel po’ di secondi prima di scendere sul parquet. Le battute tra amici sorgono spontanee: “Non hanno manco il coraggio di scendere in campo talmente fanno paura quei russi!”.
Come è naturale che sia, ognuno è curioso di vedere come andrà a finire quest’ultimo match, se saranno i superfavoriti (da inizio anno) del CSKA a vincere il titolo o se l’Olympiacos riuscirà a dimostrare ancora per una volta che in realtà non è così tanto una Cenerentola (a dispetto del roster di tutt’altro spessore rispetto alle altre 3 squadre arrivate alla Final Four) bensì la squadra più in forma degli ultimi mesi a livello europeo (e anche le semifinali di venerdì l’hanno confermato).
Si inizia e l’emozione dei primi minuti emerge da subito: non riesce a segnare praticamente nessuno, ogni canestro è visto come un gol e le palle perse fioriscono come le margherite su un prato.
Il primo quarto finisce 10-7 per il CSKA… “Ma che razza di finale è! Che figure ci facciamo con il resto del mondo che guarda quello che dovrebbe essere l’apice del basket europeo?!?”
A metà secondo quarto giunge in soccorso del basket continentale la mano di San Teodosic da Valjevo: in pochi minuti segna 3 triple (oro puro in questa fase della partita; l’ultima soprattutto- da quasi 8 metri e praticamente senza ritmo- era un mix di talento, onnipotenza e incoscienza che pochissimi al mondo avrebbero potuto infilare) che mettono praticamente KO i poveri greci, che tanto soffrono, e quasi temono, i corpaccioni russi in mezzo all’area.
Nei minuti che seguono l’Olympiacos sente il colpo e non riesce a reagire; il pubblico comincia già a spazientirsi per la delusione di aver aspettato così tanto tempo questo momento inutilmente.
Si va all’intervallo sul 24-13 per il CSKA, ma per pochi decimi di secondi il punteggio poteva dire anche 27-13 (quindi più che doppiati i punti dei greci) se Shved avesse scoccato un attimo prima la tripla allo scadere del quarto. “Ma son troppo scarsi quelli dell’Olympiacos! Come han fatto ad arrivare in finale questi qua?!”
Ancora 20 minuti e finiamo questa sofferenza: è quello che pensano tutti a inizio ripresa, visto che il CSKA continua a dominare il match in ogni modo e in ogni zona del campo mentre l’Olympiacos continua ad ostinarsi nel pick’n’roll centrale, con la difesa bella ferma ad aspettare che qualcuna delle moschicine avversarie si schianti contro.
A 12 minuti dal termine il CSKA è avanti ancora di 19 punti e può già permettersi di dare riposo a Kirilenko & C.; anche dall’altra parte Ivkovic, non sapendo più chi mettere in campo (nel secondo quarto si è assistito anche ad un cameo della guest star Papadopoulos), comincia a dare più spazio ai suoi giovani di belle speranze e volontà: tutti si affidano all’esempio dato da Papanikolau, ma anche i vari Mantzaris e Sloukas riescono a piazzare qualche punticino qua e là che consente ai greci di chiudere il terzo quarto sotto di “soli” 13 punti e al pubblico a casa di sperare di vedere una partita, almeno per qualche minuto dai!
Pian piano qualcosa cambia: la speranza interna, che tutto il mondo non russo nutre dentro, si trasforma in tifo. Viene naturale provare simpatia per la squadra sfavorita in una finale, ma questi giovani e intrepidi greci ti fanno provare qualcosa in più: non sono così talentuosi, sono greci e non giocatori dai mille passaporti, si prendono sicuramente stipendi nella norma, sono per lo più alla loro prima esperienza a così alto livello, ma sono così incredibilmente tosti che non si accontentano di aver già eliminato squadre come Siena e Barcellona quest’anno.
E così passano i minuti, si accorcia la distanza che divide le due squadre e aumentano i sorrisi increduli degli spettatori, destatisi dal torpore dei primi quarti.
Chi ha mai sognato di essere Printezis al campetto?? Eppure tutti a gridare di gioia ai suoi canestri di pura voglia e a godere dei ripetuti errori di un Teodosic più alla ricerca del colpo da MVP che alla vittoria della sua squadra e del suo popolo.
Manca sempre meno però, Kirilenko torna in campo e fa vedere chi è un vero vincente e persino gli ultimi secondi sono dalla parte del CSKA: a 19” della fine Teodosic va in lunetta sul +2; finalmente l’occasione è apparecchiata per la sua fame di gloria: basta mettere i due liberi (cosa piuttosto semplice normalmente per lui), senza neanche una pressione addosso così esagerata da ultimo secondo o da punteggio da ribaltare, e il CSKA può archiviare la pratica e lui portarsi a casa quella statuetta.
Ma ne sbaglia uno: 61-58 CSKA.
L’Olympiacos segna ancora: 61-60. Timeout e brivido CSKA.
La rimessa viene affidata a Kirilenko che riesce a consegnare la palla alla sicurezza Siskauskas, il giocatore più adatto in questa situazione per la sua qualità ai liberi, la sua freddezza da campione nei momenti che contano e la sua esperienza.
Primo tiro: sbagliato…
Secondo tiro: altro errore!!
Ancora pochi secondi dividono la conoscenza del verdetto, se alla fine sarà una grandissima impresa o solo un grandissimo spavento scampato.
Palla a Spanoulis: tutto va secondo copione, riesce a penetrare in area ma vede avvicinarsi l’airone Kirilenko… il gran campione sa quando è il momento di cercare la giocata della vita o il fallo risolutore (che gli arbitri difficilmente avranno il coraggio di fischiare in caso di dubbio) e quando invece la soluzione migliore non riguarda per forza una propria giocata. Ed è così che Spanoulis ha la lucidità di vedere davanti a lui quel ragazzo rasato che ha messo tanti ganci e canestri sporchi negli ultimi minuti: Printezis è ancora una volta pronto a provarci. E’ sulla linea di fondo, praticamente dietro al tabellone: la palla gli arriva, lui la prende, salta e lancia con la sola mano destra un tiro che è un misto tra un gancetto e un arcobaleno alla Navarro.
I sette decimi che passano tra il tiro e la fine della partita sono immensi; non si può proprio capire se la palla sta per entrare, visto anche la prospettiva da cui parte il tiro: non c’è nessun ragionamento geometrico, nessun tabellone che ti possa aiutare.
Aspettiamo, non respiriamo, pensiamo se entrerà o no, speriamo uno dei due finali, ci chiediamo se alla fine se lo sarebbe meritata davvero la vittoria l’Olympiacos nonostante i primi tre quarti, ci dispiacerebbe per gente come Kirilenko e Khryapa… e la palla è ancora in area….
Ciuffo pulito: esplode tutto! Rabbia, felicità, incredulità, commozione, gioia, senso di appartenenza al gruppo greco, tutto!
E’ stata la finale più entusiasmante di sempre e l’ha vinta la squadra che se l’è più meritata, ora ne siamo certi: non conta dominare la regular season, conta riuscire ad arrivare in finale, anche tra mille difficoltà e vincere l’ultima partita, anche solo a 7 decimi dalla fine.
Alle emozioni che ci ha regalato l’Olympiacos, rispondo umilmente con un articolo fatto di sole emozioni: la cronaca e altre notizie statistiche cercate di trovarle sui giornali o sui canali televisivi, ovviamente dopo tutti i servizi possibili immaginabili sulla nuova stagione del calcio.
Maurizio Musolino