Dall’avvento dell’appassionatissimo Giorgio Armani, tutti i tifosi biancorossi hanno disegnato nelle loro menti sogni di gloria: campionati,coppe vinte e lustro dell’olimpia che fu. Finalmente abbracciavano una squadra e una potenza economica che potessero riportare Milano e la sua storia nell’attualità cestistica italiana.
Se ci guardiamo indietro ora, vediamo l’ennesimo fallimento di una proprietà (fatta eccezione per Re Giorgio), che ha sempre rattoppato gli errori di costruzione, utilizzando nomi altisonanti che in sostanza si sono rivelati dei veri e propri bust.
La stagione appena conclusa non ha fatto eccezione con la mossa di confermare un Piero Bucchi in evidente difficoltà di rapporti, prima con il pubblico e poi con i propri giocatori; fare lo stesso con il claudicante Petravicius spendendo un visto comunitario (contro il volere dell’allenatore) dopo una stagione di patimenti fisici, per chiudere poi con una situazione infortuni che in questi anni ha assunto connotati da farsa. Sembra impossibile che la dea bendata si tolga ogni impedimento e guardi sempre, malignamente, verso i colori biancorossi, perchè se il crack del ginocchio di Maciulis è del tutto imprevedibile, tutti gli infortuni muscolari occorsi ai giocatori durante l’anno (Pecherov, Maciulis, Ganeto e Petravicius) fanno pensare che la qualità e la logicità della preparazione fisica, lascino a desiderare.
Se il campionato era iniziato con sei vittorie in altrettante partite, scatenando facili entusiasmi da detronizzazione senese, il prosieguo della stagione è stato praticamente un susseguirsi di errori tecnici, gestionali e di autorità. L’esonero di Bucchi si era reso inevitabile dopo lo sciopero, nemmeno poi così velato, dei giocatori durante il derby di Cantù, ma l’ultilizzo di Peterson come sostituto ha spedito una buona dose di fumo negli occhi dei tifosi che si sono ringalluzziti dietro all’immagine di un pezzo fondamentale della storia biancorossa, sebbene questo fosse ormai un pezzo passato e sepolto.
Il coach di Evanston ha fatto da parafulmine agli errori societari del principio, concorrendo poi ad un mercato di riparazione arrivato con indifendibile ritardo e scelte non felici. L’innesto di Greer è stato quanto di meno utile potesse arrivare alla causa, perchè questo roster aveva bisogno di qualsiasi cosa che non fosse un giocatore di isolamento e un “pompatore” di palloni dalla punta. Detto, fatto e la fluidità offensiva, già non eccelsa, dell’attacco milanese è diventata asfittica.
In qualche modo arriva un terzo posto in regular season dopo la doppia delusione dell’eliminazione immediata dall’eurolega e la figuraccia ai quarti di coppa Italia. Serviva un’altra finale da protagonista (questa volta) per edulcorare la pillola di una stagione sotto il par, ma è bastata una squadra ben allenata e con una splendida identità di gruppo, per inibire tutti i punti di forza di Milano, mandandola in vacanza meritatamente e prematuramente.
Spesso non tutti i mali vengono per nuocere e questo smacco di stagione è servito per investire le risorse con un minimo di grano salis in più rispetto al passato.
La prima scelta è stata l’allenatore nella figura di Sergio Scariolo, un italiano vincente e con una credibilità inattaccabile. Questo ha permesso a Don Sergio di chiarire immediatamente molti punti con frasi che lasciavano poco all’immaginario collettivo: “Qui ci sono giocatori che prendono stipendi da top player europei e non lo sono.” Amen.
Infatti si parla sempre più insistentemente dei soli Rocca e Mancinelli come i posti sicuri per la prossima stagione, con la postilla di Ibby Jaaber e un ritocco verso il basso del suo salario.
Il primo arrivo dal mercato porta il nome di Omar Cook, uno dei migliori (forse unici) playmaker puri del vecchio continente con goloso passaporto montenegrino. I primi passi della nuova gestione lasciano presagire, se non vittorie e soddisfazioni, perlomeno un filo logico e soprattutto un’idea a lungo termine che è l’unica via per tornare grandi sul campo.
Che sia finito il tempo delle cocenti delusioni tinte di biancorosso? Ad ogni offseason questa domanda rimane ad aleggiare sotto la madonnina, quindi conviene pensare di arrivare a ottobre avendo gettato le fondamenta giuste, che la costruzione diventi poi un pirellone o un empire state building, fortunatamente, ce lo dirà il rettangolo ligneo di 28×14.
Simone Mazzola