Un’altra stagione senza infamia e senza lode per la Scavolini Siviglia che da ormai quattro anni, ovvero dal suo ritorno nella massima serie dopo lo sprofondo in serie B, si è assestata su una posizione di media classifica ormai consolidata ma di certo non esaltante per un pubblico che ancora non riesce a distaccarsi dagli antichi fasti.
Se ad onor del vero va detto che in questo quattro anni, fatta eccezione per la stagione scorsa, non è mai stata seriamente in discussione la questione salvezza, è tuttavia anche vero che la post season è stata raggiunta in una sola occasione e che comunque l’esigente pubblico di casa non ha mai trovato modo di innamorarsi o comunque di esser trascinato da qualcuna di questa squadre.
All’ex patron Vellucci, che ha lasciato il sodalizio pesarese alla fine della scorsa stagione dopo averlo fatto risalire dalla terza serie fino ad una posizione in Europa, venivano rinfacciate tante cose tra cui forse un profilo troppo basso e l’impossibilità di potere sognare in campionato, ma oramai si può dire che le cose non siano granché cambiate con l’arrivo del nuovo sponsor – proprietario Siviglia.
Al di là del mancato raggiungimento dei Playoffs, che in un campionato tanto equilibrato nelle posizioni di media classifica può essere messo in preventivo, quello che è mancato a questa squadra anche quest’anno è stato un qualsiasi guizzo che potesse fare credere ai tifosi di potere sognare una stagione al di sopra delle righe o della aspettative; perché se ad inizio anno i proclami di dirigenti e tifosi sono giustamente improntati alla prudenza, nella regular season ci si aspetta poi sempre qualcosa in più, specialmente da una squadra che, a parere di chi scrive, aveva delle potenzialità anche maggiori rispetto ai risultati acquisiti sul campo.
Invece, dopo un inizio promettente nonostante i guai fisici di diversi giocatori, con l’avvento del 2011 la squadra si è progressivamente sgonfiata incappando in una sorta di mediocrità collettiva che l’ha progressivamente ricacciata delle posizioni di rincalzo fino a perdere la possibilità di accedere ai play-offs con una giornata di anticipo.
Una mediocrità non solo di risultati (nel girone di ritorno è arrivata una sola vittoria esterna contro i derelitti cugini di Montegranaro a fronte di alcune rovinose sconfitte interne contro Avellino e Treviso e qualche vittoria striminzita contro Caserta o Varese), ma anche in quel gioco che per tutto l’anno il coach Dalmonte non ha saputo dare ai propri ragazzi.
Il coach ex Cantù non ha certamente colpe se le due scommesse su Almond ed Aleksandrov (in teoria due pedine fondamentali del quintetto base), sono state clamorosamente perse ma se per quasi tutto l’anno la squadra non è mai riuscita a schiodarsi dal solito tran tran fino a quasi anestetizzare il pubblico di casa, non potrà di certo essere contento del proprio lavoro.
Peraltro Dalmonte, vista anche la salvezza colta lo scorso anno tra mille sfortune, gode in ogni caso di un certo credito in società, se è vero che pare quasi certa la sua riconferma per il prossimo anno; lo stesso a dire il vero non può dirsi per il pubblico, in particolare quello più schizzinoso dei numerati che nel corso dell’ultima annata l’ha contestato in più di un’occasione, ma in questo senso il grande “Pres” Scavolini si è già pronunciato per la riconferma e quindi pare che ogni discussione sia stata messa a tacere.
In ogni caso, al di là di una squadra con dei palesi limiti offensivi che l’hanno portata ad essere l’ultima del campionato per i punti segnati, è evidente che il fallimento completo dei già citati Almond ed Aleksandrov ha travolto anche quei lati positivi emersi nel corso della stagione.
Perché in ogni caso, se si vuole veder il bicchiere mezzo pieno, l’ultima annata si può leggere anche come una tappa verso il consolidamento a livelli medio altri della rinnovata società pesarese; la squadra pare già confermata nei suoi elementi più positivi per il prossimo anno ed ha un buon nucleo italiano, come testimonia il recentissimo premio federale aggiudicatosi quale società che ha utilizzato più giocatori italiani del campionato.
In effetti manca ancora il rinnovo di Hackett ma pare che sia interesse anche di quest’ultimo rimanere ancora un anno nella sua città ed in quella società che l’ha riaccolto, protetto e rilanciato in una stagione che l’ha visto come migliore italiano per statistiche e come ritrovato prospetto per il futuro.
Oltre a Cusin, Flamini e Traini è stato riconfermato Collins, mentre Melli, qualora Milano volesse confermare il prestito, verrebbe riaccolto a braccia aperte; rimane in dubbio Diaz per i suoi perenni problemi muscolari e di sicuro verranno lasciati liberi i deludentissimi Aleksandrov ed Almond.
Se il primo è stato sostanzialmente ignorato dal pubblico nell’inabissarsi nella sua abulia, fino ad essere soppiantato da Flamini e Melli nelle rotazioni, l’ala americana è stata la cosiddetta pietra dello scandalo.
Il buon Morris aveva l’ingrato compito di sostituire l’amato Hicks nel ruolo di ala piccola ed è stato dapprima atteso con pazienza dal pubblico di casa, poi applaudito al manifestarsi dei suoi timidi miglioramenti sul finire del 2010, per poi essere clamorosamente fischiato nella sua crisi irreversibile del girone di ritorno.
Il buco venutosi a creare in ala piccola ed il venire a mancare dei punti che ci si aspettava da lui hanno posto la squadra in perenne sofferenza offensiva; una sofferenza cui si è riusciti ad ovviare parzialmente con le scorribande estemporanee di Hackett in attacco e con una grinta che a questa squadra non ha mai difettato ma che a lungo andare ha presentato il conto.
Probabilmente con la conferma dell’ex capitano panamense staremmo parlando di una stagione diversa ma se delle discutibili scelte societarie non si può dare la colpa all’allenatore, ci si può invece legittimamente domandare se anche lui non possa avere una qualche responsabilità nell’abbandono al suo destino di un giocatore talentuoso ma tanto inesperto (Almond) e nell’incapacità della squadra di uscire dal classico schema di pick & roll per ovviare a questa mancanza.
Se in questi due anni la squadra ha sempre dimostrato una notevole unità e di saper fare quadrato dinanzi ad avversità e momenti difficili, rimane comunque qualche dubbio sulla conduzione prettamente tecnica del gruppo; non che Dalmonte sia peggio della media dei tanti allenatori che popolano il basket italiano ma il coach di Imola non è mai riuscito a fare breccia nel cuore di tifosi e addetti ai lavori locali.
I ogni caso la società ha già scelto la strada della continuità; se la politica dei piccoli passi appare come la più sicura rimane tuttavia il rischio che nel giro di poco tempo si possa già dissipare quel poco di entusiasmo ritrovato l’estate scorsa con l’addio di Vellucci e l’arrivo della nuova proprietà.
Giulio Pasolini