E’ giovedì 5 maggio 2011 (“Il 5 Maggio”……….), la sveglia suona di buon’ora perchè il pullman ci aspetta per portarci a Roma, più precisamente a Fiumicino, dove dovrò vincere la mia atavica paura dell’aereo per andare a Barcellona. Il viaggio è tranquillo, il traffico scorrevole, si arriva a Roma che è poco più dell’alba. La più varia umanità è presente in aeroporto, in coda per il check-in ci sono persone delle più svariate razze e nazionalità, intanto osservo le miriadi di aerei che partono ed arrivano senza cadere e mi convinco, o cerco di farlo, che non può cadere proprio il mio. La fila è lunga ma tanto io non ho nessuna fretta, più tardi salgo sull’uccello di ferro e meglio è. All’imbarco mi imbatto in Luigi Lamonica, sta andando a Barcellona anche lui, sarà in campo con il fischio in bocca e non sugli spalti come me (eddai!!!! figuriamoci se cade proprio l’aereo con l’arbitro………….), gli auguro di non poter arbitrare la finale causa presenza di una squadra italiana!!!! Il viaggio aereo è un lampo, in poco più di un’ora siamo a destinazione e, per una serie imprecisata di circostanze favorevoli, l’aereo è atterrato regolarmente e in perfetto orario. Disbrigate le formalità andiamo in hotel e già l’atmosfera comincia a scaldarsi: israeliani e greci sono presenti in gran numero, piazza Catalogna è terra del Maccabi coi tifosi che inscenano cori ed accendono fumogeni gialli. Un giornale locale ci informa che ci saranno 5.000 tifosi israeliani con 60 voli, 3.500 ateniesi con 48 voli e 2 voli, non è vero saranno di più, da………………….Firenze, si c’è scritto proprio Firenze e non Siena, evito di riportare i commenti dei tifosi biancoverdi. Sulla Rambla, la sera, la festa si accende: artisti di strada, tanta gente, purtroppo tanti borseggiatori, e migliaia di fanatici che si sono sorbiti ore ed ore di viaggio per vedere dieci omoni che cercano di tirare una palla dentro un canestro. Quello che colpisce è la varietà dei colori, le sciarpe, le magliette, le bandane, tutto è “griffato” coi colori delle squadre partecipanti all’evento, ampiamente reclamizzato ad ogni angolo di strada, e Barcellona si tinge di biancoverdegialloviola. La mattina del venerdì passa in maniera indolente, visite turistiche classiche ma la mente è tutta proiettata al Montjuic dove ci attende la partita della vita, ci si incammina presto e si va a piedi anche per cercare di digerire la pantagruelica mangiata di paella effettuata al porto, il litro di sangria bevuto non aiuta la deambulazione ma ormai siamo in vista del palazzo. Siamo letteralmente assaliti da chi è rimasto senza biglietto ed è disposto a fare follie pur di averne uno, il nostro lo teniamo gelosamente custodito in tasca e dopo una fila interminabile e controlli accuratissimi siamo dentro. La fibrillazione è a livelli indescrivibili, i greci costituiscono un muro impressionante e raggiungono vette rumorose inarrivabili, noi ci difendiamo come possiamo ed anche se il numero non ci aiuta ci facciamo comunque sentire. Inizia la partita e la salivazione è azzerata (cfr. Fantozzi), il cuore batte a mille, la partenza dei miei eroi è al fulmicotone, si raggiungono 7 punti di vantaggio, le cose si stanno mettendo bene. Qualche errore di troppo e qualche fischio maligno ci impediscono di volare via ma Siena mantiene il comando delle operazioni. Nel secondo quarto c’è però il sorpasso, la Mens Sana non trova più la via del canestro, errori incredibili ci sono fatali e il Pana va al riposo con 4 punti di vantaggio: siamo comunque sempre ampiamente in partita. Il terzo quarto è quanto di più brutto si sia visto nei due giorni catalani di basket, per minuti interminabili le squadre non segnano ma poi è Atene a rompere l’equilibrio e a trovare un vantaggio non incolmabile ma che, purtroppo, sarà decisivo. Perdiamo, c’è tanta delusione, c’è tanto orgoglio per essere lì dove altre corazzate non sono arrivate ma c’è il dolore dell’ennesima semifinale persa. Il canto della Verbena risuona alto nell’immenso palazzo ma reprimere il groppo in gola non è facile. Uscendo dal palazzo dobbiamo ancora respingere l’assalto dei compratori di biglietti ed andiamo ad annegare la delusione nell’ennesima sangria. Il sabato è il giorno peggiore, è grigio e “pioviscola” ed anche il tempo sembra così sapere che il nostro animo è triste, Barcellona è comunque bellissima e ci facciamo 12 ore da turisti assoluti, tutto quello che è possibile vedere lo vediamo ed arriviamo a sera stanchissimi, pronti per andare a letto non senza aver fatto una sosta all’Hard Rock Cafè dove troviamo personaggi incredibili e vestiti come se fosse carnevale. Nella metropolitana incrociamo Luca Banchi, il secondo di Pianigiani, chissà forse anche lui è andato a fare il turista. La domenica si ritorna punto e a capo, la mattina è dedicata al turismo e ad un po’ di shopping, alle 13,30 tutti al palazzo per la finale terzo e quarto posto. Siamo ancora lì, ad intonare i nostri cori e a dimostrare a tutti quanto siamo comunque orgogliosi della nostra squadra. La finalina è un trionfo, la Montepaschi dimostra di essere pur sempre un’ottima squadra, dispone abbastanza agevolmente del Real Madrid e riscuote ancora applausi e ringraziamenti dai propri tifosi. Usciamo stanchi, scarichi, delusi, orgogliosi, non sappiamo neppure noi che cosa davvero sentiamo dentro, per fortuna domani si riparte per Siena e si dimenticherà presto la sconfitta col Pana. All’aeroporto c’è modo di parlare con i nostri giocatori, sono abbacchiati e non cercano scuse riconoscendo onestamente di aver giocato mele e meritato di perdere. Il volo è un po’ in ritardo, la paura è la stessa dell’andata ma l’atterraggio scaccia ogni apprensione, è fatta, andiamo a casa.
Cosa mi resta di questa avventura? La consapevolezza di aver gettato alle ortiche l’Eurolega di più basso livello degli ultimi 10 anni, la certezza che questa squadra non era affatto inferiore alle altre tre, il rammarico di aver visto giocare male, ma male davvero, qualcuno che di solito riesce a dare molto di più, il rimpianto di aver avuto Stonerook con 2 costole incrinate, la critica per alcune scelte tecniche che non mi sono piaciute come l’utilizzo di Akindele al posto di Michelori e la gestione di un Lavrinovic troppo presto gravato di falli, l’orgoglio di essere comunque tifoso della terza forza europea, la gratitudine nei confronti di questi giocatori e di questo staff tecnico che ci ha permesso di vivere tutto questo.
E ora, avanti con lo scudetto, è doveroso provarci.
Alessandro Lami