Roma – Nella prima parte dello spazio che abbiamo pubblicato il 31 maggio scorso, un compendio della stagione 2009-2010 circa la Lottomatica Virtus Roma, ci siamo meramente soffermati sulla fredda cronaca della stagione, in Campionato ed in Eurolega, descrivendo e rimarcando i conseguenti scarsi, scadenti risultati ottenuti e rimandando ad una maggior approfondimento discussione sui temi che ai più sono saltati agli occhi in questa pessima annata: la composizione del roster e la relazione con i propri tifosi, coloro i quali pagano per vedere, sostenere e sorreggere i propri beniamini e verso i quali si nutre da troppo tempo un sentimento da “Chi non è con me è contro di me”.
Il perchè abbiamo scelto di procedere in questa direzione è molto semplice: siamo esattamente al decennio dell’Era Toti come Presidente del sodalizio capitolino e per l’ennesima volta la squadra resta con le pive nel sacco malgrado i roboanti e bellicosi enunciati d’inizio stagione o, peggio, d’inizio gestione. E chiariamo che quanto sarà espresso non è da intendersi come verità assoluta ma bensì un’interpretazione di come la Lottomatica Virtus Roma abbia raggiunto quest’anno (e non siamo i soli a pensarlo), il punto più basso della sua storia più recente e di come potrebbe operare per risollevarsi da una situazione quasi ai limiti del grottesco, sportivamente parlando, s’intende.
La squadra e la composizione del roster
All’indomani del clamoroso crack contro l’Angelico Biella si volle riconfermare Nando Gentile come head coach non volendo interpretare quell’eliminazione come un segnale forte di probabile, momentanea inadeguatezza dell’ex ragazzo prodigio di Tuoro come prima guida di una squadra con ambizioni di vertice. Molte le sue incertezze nell’arco della stagione scorsa per non fare inversione di marcia e tornare su di un coach con maggiore esperienza, non ultima fra esse ad esempio l’esclusione di Brandon Jennings a referto contro Biella nei PlayOffs a favore di Jure Golemac quando lo stesso rookie californiano aveva massacrato in febbraio al Palalottomatica la coppia Smith-Spinelli con ben 13 palle recuperate (il che, per una squadra poco avvezza a….Morire in difesa, doveva essere un punto di partenza e non di arrivo). Partendo da questa base era difficile pensare che Gentile avrebbe potuto fare miracoli, ancor di più se poi la costruzione della nuova squadra veniva edificata sull’asse Ibby Jaaber-Andre Hutson come play-pivot, quando i due pur validi giocatori non sono propriamente nè un play di ruolo il primo e nè un pivot il secondo, sull’onda di un’emotività poco suffragata dai fatti del campo. A condire questa scelta poco adeguata una discreta ciurma di ali come De La Fuente (messosi fuori gioco in stagione per persistenti problemi fisici), Toure, Winston, Minard e Datome, con Crosariol, Giachetti, Vitali, Gigli e Tonolli a completare un progetto italiano (citato molto in questi ultimi giorni dal Presidente Toti), in un momento poi non del tutto fortunato del Nostro basket a tinte tricolori.
Troppa carne al fuoco per il Nando Nazionale da rosolare e servire in tavola al punto che comunque, essendo lui stessa persona intelligente e capace (discorso a parte la sua inutile polemica sulle sue primogenie casertane che avrebbero scatenato il tifo organizzato contro di lui, palla persa sanguinosa in un momento cruciale di questo strano match !), le sue dimissioni sono arrivate come inevitabili. L’avvento di Matteo Boniciolli da Trieste ha dato sì una fisionomia più determinata alla squadra con una difesa mobile ed aggressiva, caratteristica dimenticata della Virtus gentiliana, ma ha anche messo un pò d’ordine nelle gerarchie promuovendo Giachetti e Vitali playmaker designati (Jaaber avrebbe dovuto trarne giovamento, avrebbe…), puntando sull’energia di Minard, Winston e Jaaber appunto per uscire dalle secche offensive e dando piena fiducia a Crosariol e Gigli stando la lungodegenza di Datome. Ma ben presto il coach triestino ha capito quello che anche Gentile aveva compreso, e che ai più si era brutalmente palesato nella debacle contro Teramo in casa in campionato: che questa squadra non aveva leaders !!
Ecco quindi il perchè, ad esempio, di certi incredibili rovesci in trasferta; ecco quindi il perchè, ad esempio, delle innumerevoli palle buttate alle ortiche nei momenti topici dei matches; ecco quindi, ad esempio, la tensione e gli uno contro cinque visti dai vari, generosi, Giachetti e Winston, Minard (sino a quando è rimasto a Roma, surrogato da Dragicevic nel roster, altra scelta poco comprensibile nella stagione), nel tentativo di salvare la patria. Ed infine, cosa che risalta agli occhi in modo ancor più clamorosa se si osserva Bologna ma soprattutto Milano in questi PlayOffs 2009-2010, l’avvento di nuove scelte come Darius Washington e Joshua Heytvelt (da tutti dichiarate buone scelte, tutto sommato), praticamente mai messe nelle reali condizioni di apportare giovamento alla manovra soprattutto offensiva, vero tallone d’Achille di questo roster.
Ed è a questo punto come non pensare che il punto di domanda si sposti automaticamente sul ponte di comando e non più verso il parquet ?
Prova ne è che l’ultima partita della stagione contro Caserta ha comunque riservato ai giocatori di casa applausi, non ovazioni come è logico per una sconfitta, ma almeno applausi per l’impegno ed il sudore messo nella sfida. Ovvio quindi rivolgersi all’accoppiata Toti-Bottai come fautori di questi “non risultati” per questa stagione con la speranza che, come dichiarato dallo stesso Presidente Toti nel dopo-gara contro la Pepsi, si pensi a rafforzare l’attuale staff dirigenziale per creare in questo eco-sistema pesi e contrappesi e non lasciare solo ad uno il potere decisionale, cosa di cui però dubitiamo con una persona dalle caratteristiche come Claudio Toti, che vuole sempre avere l’ultima parola su tutto.
Ed alla fine se gli errori di questi 10 anni, fatti anche in buona fede, sono continui e soprattutto non cambiano il risultato finale, è doveroso chiederne conto al massimo rappresentante del club capitolino rimandando la risposta potenzialmente alla riga soprastante ed auspicando questa sua dichiarazione come un primo passo verso un doveroso new deal per il basket di vertice a Roma.
La relazione con i propri tifosi.
Tutto quanto descritto nel punto precedente, l’ennesima stagione involuta e dall’amaro sapore finale più forte di sempre, costringono vieppiù il bacino d’utenza della Virtus Roma a restringersi numericamente verso il basso, anche in virtù di queste scelte tecniche così contraddittorie e confuse di questi anni. E se le presenze al palazzo si cristallizzano divenendo una sorta di vero e proprio zoccolo duro questo è un problema corposo da risolvere.
Roma non è una città che vive di basket come lo sono, ad esempio, i piccoli centri contro i quali combatte sul campo (esentate da questo discorso Bologna e Milano, ovviamente, ndr), ma c’è da sottolineare nonostante questo come la passione per questo splendido sport sia presente eccome nell’Urbe.
La politica dei prezzi contenuti portata avanti dalla Dirigenza della Virtus è encomiabile come anche, ad esempio, l’ingresso gratuito dei bimbi delle scuole basket ad assistere direttamente dal parquet alla fase di riscaldamento delle due squadre nel pre-gara di campionato. Sono iniziative importanti e lodevoli queste (insieme ad altre, ad onor del vero), ma non sufficienti a stabilire un rapporto stretto di connessione tra città e giocatori, tra spettatori e beniamini in maglia giallorossoblu.
Intanto, come anche altri colleghi hanno evidenziato in questi ultimi tempi, questo accade perchè Roma è una grande città che offre qualsiasi tipo di ricreatività per coloro che la cercano e perciò, se proprio non si riesce a vincere con la squadra di vertice nel basket, si pensi almeno a far divertire il pubblico: questo dovrebbe essere mandatorio ingaggiando campioni e talenti, come accadeva nei primi anni dell’Era Toti e dove il flusso della gente era costante e copioso nonostante le sconfitte seriali in semifinale PlayOffs o in finale contro Siena. La stagione passata in archivio ha mostrato invece un lato preoccupante, e cioè che al taglio del budget è corrisposto la peggior stagione risultati in mano.
Ed è francamente sconcertante registrare proprio in questi giorni le dichiarazioni secondo cui si vorrebbe, proprio in virtù del voler preservare questa sorta di “riserva indiana” di tifosi e non tornare ad espanderla, giocare la Regular Season al Pala Tiziano: un regresso preoccupante nel momento in cui accetti che tanto questo è il Tuo pubblico e che certamente non aumenterà nel breve !
Cosa occorre allora ?
Occorre, per riportare entusiamo e scacciare quel senso di rassegnazione che registriamo dal dopo Biella, tornare a vincere e questo passa attraverso una dirigenza che sia composta da gente di basket che sappia come parlare e farsi apprezzare nell’ambiente; che sappia capire l’importanza del voler riempire il Palalottomatica e non di tornare sui propri passi e cioè al Palatiziano (tra l’altro, in comproprietà con la Roma Volley, appena rientrata nella serie A nazionale !); che provino a ricreare insomma un terreno fertile su cui poggiare le basi di un domani finalmente vittorioso e stabile nel gotha del movimento nazionale e, perchè no, come il Partizan Belgrado insegna, anche Europeo.
Non sembra una ricetta facile, ce ne rendiamo conto, ma da qualche parte si dovrà pur ripartire, dando per scontato che lo si voglia fare.
A ben vedere piazze anche meno importanti di Roma han raggiunto risultati quasi insperati con fantasia, determinazione, qualche soldino (non milioni di Euro ma qualche soldino sì !), e tanta buona volontà.
E dato che riponiamo ancora fiducia in Claudio Toti osserveremo nei prossimi mesi ogni singolo sviluppo o mossa della dirigenza capitolina con favore e simpatia ma senza aprire una linea di credito illimitata, non occorre in questo momento ma saremo curiosi di registrare l’evolversi del tutto e di darvene una lettura onesta e la più obiettiva possibile; e cominciamo con lo scrivere che ripartire col disputare le partite interne al Palatiziano è sbagliato, auspicando un inversione di rotta che ridia forza e vigore al progetto.
Prima di lasciarVi: abbiamo volutamente messo da parte i giocatori, i singoli autori del gesto finale in campo, questo perchè siamo convinti al 100% che se una squadra fa affiorare sul terreno di gioco malesseri e malumori insospettati e non risolvibili, aldilà delle rispettive carature tecniche, ebbene esse siano da ricercare primariamente su chi dirige dall’alto e che incida molto, se non moltissimo, sul rendimento finale.
Per questo siamo certi, alzando l’iperbole ad un livello inusitato e rimandandoVi alle prossime considerazioni, che questo sia il motivo che spinge i giocatori di qualunque sport a qualsiasi livello competitivo a generare prove distratte o svogliate e che questa Virtus Roma non avrebbe quest’anno fatto alcunchè neanche se nelle proprie fila avesse potuto disporre addirittura di Kobe Bryant o di Lebron James.
Fabrizio Noto/FRED