Nel negozio deserto, il piatto specchio di un televisore diffonde le immagini della conferenza stampa: assiepati, stretti, schiacciati, decine e decine di giornalisti osservano con timore, con sfida, disprezzo, ammirazione luomo che gli siede davanti. E in ritardo, ma stavolta nessuno ha dubitato che sarebbe arrivato. Ottocentottanta vittorie. Se anche fosse la cosa meno importante al mondo lui sarebbe il più grande di sempre nella cosa meno importante al mondo. I sapienti artigiani della ESPN tagliano e cuciono le frasi, compilano un resoconto ampio, in bilico tra lagiografia ed il sospetto. E accaduto ieri, è già storia, documento, e verrà sommato a tutti gli altri. Un brizzolato reporter in abito grigio introduce con una risata una classifica delle dieci più volgari e provocatorie affermazioni di questicona del gioco e le immagini prendono a succedersi veloci, saltando avanti ed indietro per gli anni e gli stati, attraverso le maglie, i capelli e le sedie.
Nel negozio, luomo guarda rapito. Cazzo, darei tanto per capirlo davvero. Lì, di nuovo, in mezzo a quei giornalisti che disprezza, a fare le sue scenate plateali e televisive, a rispondere nel modo più stupido che gli riesce alla domanda più stupida che gli sia mai stata posta. Nella testa, sotto il suono stridulo delle censure acustiche, sta scorrendo una sequenza di quella sera: eccolo lì, Thomas quella deve passarla e prima ancora, May quel tiro deve prenderlo, cazzo. Ottocentottanta vittorie. Milleduecentotrentaquattro partite. A guardarlo, da lì, da dietro lo schermo piatto e lucido nel negozio deserto, luomo può fare un nuovo sforzo di capire quel volto che parla ai microfoni, quel personaggio voluto, inconsapevole e costruito al tempo stesso. Il reporter ride. Filmati darchivio, coach Knight che insulta un giornalista, coach Knight che indossa la nuova felpa rossa. Quanto darei per capirlo. Luomo si guarda un po intorno, è possibile che non ci sia davvero nessuno nel negozio?, poi si avvicina allo schermo, osserva più attentamente. Non cè altro che il gioco, da capire. Il gioco, correre, saltare, correre, sacrificarsi, lettura, intelligenza. Il gioco. Tutto il resto è finto, cambia, passa, se ne stanca persino lui, ne è certo. Il gioco resta. Tutti vanno a rimbalzo. Tutti corrono. ESPN continua a parlare di sedie, pistole, felpe, microfoni, giornali.
Fuori dal negozio, Indiana Ave si stende placidamente sotto il sole di un nuovo anno. E lunga, Indiana Ave, e percorrendola in discesa luomo riflette su quanto ha appena visto, sulla parata delle irregolarità del personaggio che chiamano The General, sulla sua imprevedibilità. Dio, ci sono giorni in cui a vedere quelle interviste gli è venuta voglia di insultarlo, di liquidarlo come un esaltato e lasciar perdere. Ma ogni volta, ogni volta che la tentazione lha colto, ha saputo voltarsi, dimenticare i beep della ESPN, le sedie, le donne scandalizzate, tutto lo show, entrare in palestra e vedere quella squadra correre, correre, saltare, muoversi di continuo. Puoi odiarlo, The General, pensa luomo camminando per Indiana Ave, ma non puoi non capire che non conta nulla, che è tutto un contorno superfluo e stanco allunica cosa che importa davvero: correre, saltare, sacrificarsi, muoversi. Camminando su due gambe stanche vicine ai settanta anni, luomo arriva alla fine di Indiana Ave di nuovo in pace con i suoi pensieri, di nuovo sicuro di aver ben chiaro quel frammento di senso su cui ruota la sua vita. Correre, saltare, sacrificarsi, muoversi. Educare, certo.
Svoltando su 4th street le cose gli appaiono perfettamente chiare, e non serve neanche più rifletterci. Gli accade sempre, in corrispondenza di questo incrocio. In lontananza, sulla destra, il profilo di un edificio che ha imparato da qualche tempo ad amare si staglia con modestia nel cielo di Lubbock, Texas. Pochi metri prima di arrivare a destinazione, una giovane ragazza dai capelli biondi si stacca da un gruppo di coetanee per un attimo e lo avvicina.
Hey Knight whats up?
Luomo si ferma un istante, la mente percorsa da pensieri che non ci è dato interpretare. Poi, quietamente, sorride e riprende a camminare.
dhazed
41 anni di carriera non sono facilmente sintetizzabili in poche righe. Non ho avuto il piacere di vedere in panchina Adolph Rupp, ma tra Knight, Dean Smith, Eddie Sutton o Lefty Driesell, non cè dubbio che la palma del più antipatico vada al coach dal maglione rosso. Eppure Bobby Knight è stato molto di più grande di ciò che ha fatto vedere, un valore che va aldilà delle 880 vittorie, dei 3 titoli NCAA, della rivalità con Dean Smith, dei giocatori mandati nella NBA. Laspetto che più mi affascina di questo allenatore è la sua incredibile determinazione, che a volte lo ha portato oltre i limiti delleducazione, ma gli ha permesso di raggiungere risultati incredibili. E facile giudicare un allenatore solo dal numero di vittorie, ma le W sono frutto di tanti fattori, il primo dei quali è la tradizione di ununiversità e la sua capacità di attrazione dei migliori talenti del paese. Più interessante è vedere come un allenatore riesce ad avere successo anche nelle situazioni difficili, dove ci sono programmi da ricostruire da zero e il talento del coach è lunica arma per risalire la china, magari convincendo giocatori con poco talento a sacrificarsi per il bene della squadra.
Knight è stato il più giovane allenatore NCAA di sempre a 24 anni. Dopo una discreta carriera a Ohio State, con un titolo NCAA vinto grazie a due compagni come Jerry Lucas e John Havlicek, ha capito che la panchina era la sua strada, cominciando da un piccolo liceo dellOhio. Ma dopo 2 anni era già diventato capo allenatore ad Army. La sua presenza a West Point ha segnato il suo primo capolavoro, con un record complessivo in 6 anni di 102-50. Lo stile da accademia militare gli è rimasto sempre addosso, anche quando è volato verso università più importanti, Final Four e titoli di allenatore dellanno. Ma anche a Indiana e Texas Tech, Knight ha sempre ritenuto che fare la cosa giusta, anche se impopolare, sia fondamentale per avere successo nella vita: perciò ha sempre trattato i suoi giocatori come se fosse un sergente istruttore, tirandoli per la maglia, spingendoli fino al limite, per spingerli verso leccellenza. Certo lesempio dato in alcune occasioni non è stato dei migliori e alcuni puristi non accetteranno mai questi metodi, ma come disse il coach una volta: ..quando tutto sarà finito e il mio tempo su questa terra sarà finito, mi farò seppellire a testa in giù, così i miei critici potranno baciare il mio sedere.
sandiego
Non mi sembra giusto parlare di numeri in questo momento, anche se siamo qui proprio perché Knight è diventato lallenatore più vincente di sempre, proprio con il numero 880 dellaltra sera.
Mi sembra più corretto, invece, elogiare un uomo, e i valori che lo hanno reso ancor più grande di quanto diranno le W il giorno del suo ritiro. I suoi metodi duri, plateali, a volte eccessivi, sono una faccia della medaglia, anche se molto visibile e consistente.
Sullaltra cè il totale rispetto per un sistema che da anni lo rappresenta, e che viceversa si rispecchia in lui. Il 98% (avevo detto che non avrei parlato di cifre) dei suoi studenti arriva a laurearsi e in quarantanni di carriera nessun ateneo per cui lavorasse è stato accusato di infrangere le regole per i reclutamenti. In un mondo dove tutti cercano e trovano ogni sistema per accaparrarsi i liceali più promettenti, coach Knight rimane rispettoso delle norme in modo ferreo e fiero.
E anche soprattutto per questo motivo che pochissimi giocatori da lui allenati sono poi finiti al piano di sopra. Lui offriva un programma quadriennale, tanta dedizione e tanti sacrifici. Altri atenei mettevano (e mettono) sul piatto agevolazioni per lo studente e per le famiglie, oltre a tacite promesse di potersi dichiarare anzitempo senza che nessuno possa storcere il naso.
Due facce di una moneta che significa sport universitario.
Una è più vulcanica, visibile e mediaticamente commerciabile.
Laltra è un po in penombra, ma altrettanto fondamentale per descrivere uno dei migliori allenatori che lo sport ci abbia mai fatto conoscere.
[i]Bobby Knight è un mio buon amico, ma se avessi bisogno di un trapianto di cuore vorrei il suo perché non è mai stato usato.
George Ravelling, suo assistente all Olimpiade di Los Angeles 1984
Il nome che sta davanti alla tua divisa, figliolo, è molto più importante di quello che sta scritto sulle spalle.
Bobby Knight[/i]
skiptomylou