Della grande squadra che ha stupito il mondo sportivo, era l’unico Bulls ancora in attività. Almeno a grandi livelli. Toni Kukoc ha annunciato il suo ritiro dal basket lo scorso 12 settembre, prima dell’inizio della nuova stagione, prima di cercare un’altra possibile destinazione.
Non lasciare la sua casa, Chicago, è diventata per lui la priorità massima ora che l’età avanzava, gli stimoli mancavano e il basket non più così essenziale. Tenendo conto della volontà dei Bucks di ringiovanirsi e dei Bulls di affidarsi ad un campione per aprire un ciclo.
Sì era capito subito. Lo aveva capito l’America, quella che sarebbe diventata la sua casa, dopo quella natale, in quella memorabile partita targata 11. Undici tiri da tre ai mondiali juniores contro la selezione americana. Tutti gli occhi si concentrarono su di lui, sul suo stile, sul suo gioco quasi soft.
I trionfi con la sua nazionale e quelli con la Benetton facevano eco oltre oceano. Le ire, le antipatie di campioni che vedevano in questo giovane solo un possibile avversario. La rabbia di Pippen, l’indifferenza di Jordan, la superbia di grandi giocatori nei confronti di un Europeo.
Sì, sappiamo come è andata a finire. Ha vinto tutto come protagonista principale, come attore non protagonista; partendo in quintetto o dalla panchina. Imparando dai campioni all’inizio della carriera, insegnando ai giovani nelle ultime stagioni.
Sì è vero, ha conosciuto l’NBA ancora prima di entrarci dalla porta principale. Da possibile nemico a grande compagno di squadra. Barcellona 1992. Pippen contro Kukoc, stravince Pippen. Solo 4 punti per il croato. Interviste post-partita all’insegna degli sberleffi per Pippen deluso dalla prestazione del suo futuro compagno di squadra. Colui che gli impediva di avere un ritocco dell’ingaggio dai Chicago Bulls, occupati a portare l’Europeo nella NBA. Dichiarazioni di sfida per Jordan Vorrei vederlo giocare nella NBA. Passano pochi anni e gli sberleffi diventano complimenti, attestati di stima verso un giocatore che dice lo stesso Pippen sa farsi amare, sa fare amare me e Michael…
Da pupillo (per capire quanto talento abbia, bisognerebbe capire in che cosa debba ancora sviluppare il suo gioco) a giocatore importante per il suo allenatore per eccellenza Phil Jackson. Le carriere di due degli artefici del successo dei Bulls si potevano rincontrare quando Phil allenava i Lakers. Nell’autobiografia di Phil Jackson “More than a game” si legge come Toni fosse un obiettivo per i gialloviola nel 2000. Operazione di mercato poi sfumata.
Toni Kukoc che, secondo Larry Brown allenatore di quei 76ers, can just play. Poteva. Non ci è mai riuscito, forse per le idee conservatrici dello stesso allenatore. E proprio Philadelphia una fase della carriera di Kukoc non brillante, a fianco di Allen Iverson. Non brillante a livello di risultati, perché di punti, rimbalzi, assist e di triple doppie Toni ne ha sempre fatti. Anche ad Atlanta e negli ultimi anni a Milwaukee.
Un’uomo dal quale è stato difficile separarsi. Come nelle parole di Jerry Krause, parlando del momento in cui è stato ceduto dai Bulls ai 76ers: E stato difficile scambiare Tony. Scesero lacrime quel giorno. Quel giorno dissi a Tony: ho bisogno di un abbraccio. Mi abbracciò forte. Anche a noi tifosi del basket mancherà non vederlo sul campo.
Il cameriere, la Pantera Rosa, il ragno di Spalato, la sensazione croata sono i suoi più famosi soprannomi. Per noi (per me sicuramente) il numero 7 di quella fantastica squadra. Toni Kukoc.